Cosa significa, oggi, fare il geografo? "Definire cosa fa oggi il geografo è un concetto complesso. Nonostante gli sviluppi della disciplina si rende ancora necessario affermarne l'importanza prima ancora della professione. Nell'immaginario collettivo i geografi vengono spesso individuati come dei professionisti che si muovono all'interno di un quadro conoscitivo dettato dal sapere mnemonico delle capitali, quindi dell'individuazione dei fiumi e dei laghi su una carta, o ancora come delle figure molto abili nel realizzare le mappe, ma quello è fondamentalmente il compito del cartografo, oggi supportato dall'utilizzo del GIS e dei droni. Il geografo contemporaneo non è colui che riconosce in quale regione viene coltivata la "barbabietola da zucchero" - nonostante le qualità fisiche come quelle topiche di un luogo siano necessarie nel bagaglio conoscitivo geografico - ma risponde a quella figura che si occupa della globalità, che si relaziona nello specifico con lo studio, la lettura e l'interpretazione del mondo, studia i processi e le problematiche che interessano la contemporaneità, per fare qualche esempio: l'organizzazione del territorio, le trasformazioni paesaggistiche, la riqualificazione di una città o di un quartiere, la sostenibilità ambientale, la società, la mobilità, solo per citarne alcune, ma potrei continuare. La geografia oggi è trasversalità, è una disciplina per natura polisemica, collaterale, si inserisce all'interno di una società sempre più globalizzata e mutevole". Rachele Piras, cagliaritana, classe '85, studiosa appassionata, segretaria regionale per la sezione di Cagliari dell'AIIG (Associazione Italiana Insegnanti di Geografia). Cerchiamo di scoprire, insieme a lei, il senso più profondo di una disciplina come la geografia nel mondo contemporaneo.

Rachele Piras (foto concessa)
Rachele Piras (foto concessa)
Rachele Piras (foto concessa)

In un momento in cui il confine della nostra vita è diventato la porta di casa. Qual è la formazione necessaria?

"Esistono diverse tipologie di formazione che possono essere differenti in base al percorso di studi scelto e così anche alla carriera da intraprendere, ti racconto la mia esperienza. A Cagliari non è presente un corso di studi specifico orientato esclusivamente sulla formazione del geografo, ma è comunque possibile "costruirsi" un percorso su diverse scale che prende avvio, nel mio caso, con l'iscrizione al corso di laurea triennale in Lettere, erogato all'interno della Facoltà di Studi Umanistici di Cagliari, e attualmente coordinato da Immacolata Pinto. Una volta portato a termine il ciclo triennale ho poi proseguito la mia carriera iscrivendomi al corso di laurea specialistica in Storia e Società dove ho potuto coltivare la mia nascente passione per la geografia seguendo diversi corsi. Conseguita la laurea specialistica ho partecipato al concorso per l'ammissione al XXXIII ciclo del Dottorato di Ricerca in Storia, Beni Culturali e Studi Internazionali coordinato da Cecilia Tasca, vincendo una borsa di dottorato (a valere sul Programma Operativo Nazionale FSE-FESR Ricerca e Innovazione 2014-2020 PON RI Ricerca e Innovazione), incentrata sulla Geografia del turismo, con un focus specifico sulla Sardegna e con la collaborazione della società benefit NABUI di Oristano gestita da Salvatore e Tomaso Ledda; i miei tutor sono Marcello Tanca e Andrea Corsale, entrambi docenti associati del dipartimento di Lettere, Lingue e Beni culturali diretto da Ignazio Puztu. Durante il dottorato è stata affiancata una continua formazione caratterizzata dalla partecipazione a convegni e seminari a carattere nazionale e internazionale, nonché la stesura di diverse pubblicazioni, alcune di queste in riviste di fascia A e capitoli di libri. Attualmente sono cultrice della materia in Geografia per il dipartimento di Lettere, Lingue e Beni Culturali e segretaria regionale per la sezione di Cagliari dell'AIIG (Associazione Italiana Insegnanti di Geografia). Una volta conseguito il titolo di dottore di ricerca (discuterò la mia tesi tra circa un anno), mi sono posta come obiettivo quello di conseguire una seconda Laurea, nello specifico in Geografia e Processi Territoriali, all'interno dell'Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, un percorso che mi permetterà di arricchire il mio cv e avere così un titolo di laurea specifico in Geografia che mi consentirà, spero, di poter partecipare a diversi concorsi".

Immaginiamo il geografo sommerso da carte e compassi. Come la tecnologia ha cambiato il vostro mestiere?

"Il geografo visto con gli occhi della società è sicuramente quello che viene rappresentato nell'opera di Johannes Vermeer, uno studioso intento a lavorare chiuso nel suo studio con in mano il compasso e la carta, una visione questa, abbastanza comune che identifica il ruolo del geografo con quello del cartografo. In realtà, oggi il geografo è quello che Armand Frémont chiama lo studioso "con i piedi nel fango", ovvero che opera sul campo, indaga la realtà, studia e allo stesso tempo interagisce con l'ambiente che intende analizzare. Oggi il geografo ha una "cassetta degli attrezzi" molto variegata: la conoscenza della geografia storica e l'evoluzione stessa della disciplina, si accosta ad una visione più ampia in cui vengono accolti strumenti sempre più innovativi e caratterizzanti. L'utilizzo del GIS ha sicuramente contribuito a modificare il rapporto con la carta, così come l'impiego dei droni ha permesso una conoscenza territoriale sempre più amplificata e puntuale, ma non solo, gli strumenti oggi a disposizione non sono solo tecnologici; il geografo contemporaneo si relaziona con i mega eventi, con la musica, la filosofia, con il fumetto, l'arte, persino con il cibo, giusto per fare qualche esempio. La geografia è diventata quindi un campo che facilmente si plasma con altre discipline proprio per la sua capacità per così dire malleabile di "piegarsi" al normale trascorrere della quotidianità e, così, del mondo".

La geografia è anche politica, economia, società.

"Sicuramente, la geografia è soprattutto politica. Yves Lacoste, geografo francese, negli anni '70 ha scritto un libro intitolato "La géographie, ça sert, d'abord, à faire le guerre" ("La geografia serve prima di tutto a fare la guerra"): lui, come tanti altri geografi si sono interrogati sul valore conoscitivo della disciplina geografica, e in particolare la cartografia costituisce uno - ma non l'unico - strumento nella cassetta degli attrezzi del geografo che in tutte le fasi storiche ha permesso una conoscenza territoriale fondamentale, utile soprattutto per le operazioni belliche. Viviamo in un mondo in continua evoluzione, gli stessi cambiamenti assumono una forma politica, ambientale, economica, sociale, il geografo così in questo senso ha il compito di individuare e mostrare la connessione presente tra l'economia, la storia e la politica, tra l'ambiente e il paesaggio, tra la città e gli spazi legati alla mobilità, così come tra turismo di massa e aree interne, senza tralasciare tematiche quali la sostenibilità e l'ambiente, oggi ampiamente discusse. La geografia è quindi anche economia e società per ricollegarmi alla domanda, al giorno d'oggi è indispensabile possedere delle competenze geografiche per la lettura e l'interpretazione del mondo in cui viviamo, così la geografia in questo senso è in grado di analizzare sotto quali forme l'agire politico delle comunità, si relaziona con il territorio, così come è in grado di identificare e spiegare nozioni come quelle di Stato e di Nazione, ma non solo: la geografia è anche società, in quanto sapere volto alla comprensione di dinamiche quali la mobilità nazionale e internazionale, i flussi migratori, così come della popolazione in termini di crescita e di sviluppo. Se dovessi utilizzare un termine specifico, per descrivere questa "capacità" insita nella disciplina geografica come collante tra le varie componenti del mondo globale utilizzerei quello che Marcello Tanca, geografo dell'Università di Cagliari, indica con il termine di "liquidità", la geografia in questo senso assume le sembianze di un contenitore al cui interno possiamo inserire differenti componenti che rientrano nei termini di: politica, economia, ambiente, paesaggio, spopolamento, turismo e potrei continuare ancora. Questa domanda ha un raggio argomentativo molto ampio e meriterebbe sicuramente una discorsività maggiore e sicuramente più esaustiva di quanto detto in queste poche righe".

Qual è il senso di un confine per il geografo?

"Diciamo che spesso si confonde il termine di confine con quello di frontiera, utilizzati spesso come sinonimi. La frontiera per definizione è intesa come un'area che divide e separa due territori e che spesso subisce delle modifiche. Sempre ragionando in termini geografici, invece per definizione, il confine è una linea di separazione tra stati e territori. Il discorso geografico sul confine è di per sé molto ampio perché mette in luce riflessioni che possono riguardare in maniera trasversale il concetto di barriera, di limite, di periferia, di un'altrove spesso poco conosciuto e talvolta temuto. Oggi paradossalmente il termine confine ha forse allargato la propria accezione originaria, questo per via dell'espandersi nel mondo della pandemia da Covid-19 che ha modificato idealmente e fisicamente gli spazi della mobilità. Noi viviamo quotidianamente su più scale, ci muoviamo su una mappa dell'Italia suddivisa per colori, che assume sfumature differenti in base all'indice dei contagi; è un idea di confine quella odierna che ormai diviene in certe circostanze comunale, altre regionali, senza escludere che durante il periodo del lockdown del 2020, il confine era rappresentato dalla nostra porta di casa".

Possiamo parlare di una geografia delle migrazioni?

"Assolutamente sì. Io non mi occupo nello specifico di questo tema ma al giorno d'oggi la o le mobilità come i fenomeni migratori sono una questione a carattere mondiale che non solo richiede solide conoscenze geografiche, ma viene visto come un prodotto multidisciplinare che investe campi di ricerca più disparati: la storia, la sociologia, l'economia, così come quelle caratterizzanti dai cultural studies. La mobilità viene percepita come la prima caratterizzazione storica che interessa l'uomo, ma oggi le migrazioni sono da intendersi in termini di conflitti, disastri naturali, povertà, carenza di risorse: la mobilità tra Stati è stata così una fra le maggiori componenti delle trasformazioni a carattere globale. Pur essendo quello migratorio, una manifestazione sempre esistita, oggi il geografo si interroga sulle dinamiche che coinvolgono il fenomeno, così come sugli sviluppi in termini di flussi, ma anche le motivazioni da ricercare che spingono le persone al continuo movimento, ma non solo, ci si occupa soprattutto di spazialità in termini di cambiamenti che coinvolgono ad esempio le nostre città, trasformazioni urbane del contemporaneo legate alla commistione di varie comunità che convivono e molto spesso si scontrano entro lo stesso spazio".

La nostra Sardegna è un'isola. Quanto questo ci penalizza e quanto ci avvantaggia?

"Questa è una domanda che muove tantissime riflessioni che sicuramente non sono riassumibili nelle parole che dirò. Ricordiamoci che durante l'emergere del Covid-19 la Sardegna veniva vista come territorio immune, proprio perché un'isola, ma come sappiamo le cose sono andate diversamente. Ciò che bisogna considerare è la posizione che ciascuno di noi adotta nell'interpretare questa condizione in quanto Isola, come favorevole o meno. Anche ragionando in termini di offerte, per molti di noi il mare è un bene prezioso, per tanti altri viene visto semplicemente come un ostacolo, un limite che ci separa dal resto dell'Italia. Credo che alla base di questa "doppia visione" ci sia una coscienza collettiva di matrice determinista che vede l'isolamento come carattere predominante della Sardegna e riassume tutte le caratteristiche positive e negative legate al territorio come l'effetto della conformazione fisica dell'isola (ad esempio il clima "favorevole" come maggiore risorsa per lo sviluppo del turismo estivo). Un approccio differente - in cui io stessa mi riconosco vista la mia formazione accademica - riflette ponendo la questione non in termini di caratteristiche fisiche e morfologiche della Sardegna, quanto in termini di gestione: ossia vedendo nell'isolamento un mancato o ancora frammentario funzionamento dei servizi esistenti, come può essere il settore dei trasporti (ricordiamo che metà dell'Isola non è collegata da una rete ferroviaria); senza considerare poi tutto il discorso legato alla continuità territoriale o a quello legato a tutta una serie di disservizi che investono proprio il settore che dovrebbe essere il nostro punto di forza, il turismo. Dal punto di vista scientifico, l'insularità non è di per sé né un vantaggio, né uno svantaggio, anche se poi spesso al termine insularità accostiamo quello di isolamento, che sono due cose completamente diverse: un'isola può non essere isolata, così come una regione non insulare può essere isolata e viceversa, a causa di tantissime problematiche che sicuramente non sono geografiche ma di gran lunga sicuramente gestionali".
© Riproduzione riservata