“Questo programma include rappresentazioni negative e/o trattamenti sbagliati nei confronti di persone e culture. Questi stereotipi erano errati allora e lo sono oggi". Tale messaggio compare spesso qualche secondo prima di numerosi film, anche capolavori della Disney, che hanno fatto la storia dei cinema e che vengono riproposti di tanto in tanto in tv o nelle piattaforme streaming. Proprio nel caso della Disney l’avvertimento viene poi integrato: "Piuttosto che rimuovere questo contenuto – prosegue la nota che anticipa le pellicole - vogliamo riconoscere il suo impatto dannoso, imparare da esso e stimolare un dialogo per creare un futuro più inclusivo. La Disney si impegna a creare storie con temi stimolanti che riflettano la ricca diversità dell'esperienza umana in tutto il mondo".

Dumbo e Peter Pan, ma anche tantissimi altri classici e capolavori del passato, si trovano dunque a dover fare i conti oggi con contenuti stereotipati e talvolta razzisti, idee che all’epoca della loro creazione facevano parte del pensiero comune della società americana (almeno di quella bianca che deteneva il potere), ma che ora – per fortuna – non hanno più spazio nel pensiero collettivo. Il mercato americano del cinema, e non solo, si è dunque allineato al cosiddetto “politicamente corretto”.

Col termine “politicamente corretto” si accomunano un insieme di idee e pratiche che mirano a evitare l'uso di espressioni o comportamenti che possano essere percepiti come offensivi o discriminatori nei confronti di determinati gruppi sociali. Si tratta di un’ideologia che ha origini negli Stati Uniti degli anni Sessanta, in seguito al movimento per i diritti civili, quando si diffuse la consapevolezza che il linguaggio e i comportamenti potessero contribuire a perpetuare forme di discriminazione e oppressione.

Nel corso degli anni, l’ideologia del “politicamente corretto” si è diffusa in tutto il mondo, approdando in Italia sin dai primi anni Novanta, in particolare nei circoli intellettuali e accademici. Ma ormai da qualche anno è nato anche un dibattito tra sostenitori e critici: i primi ritengono sia una forma di progresso del linguaggio che contribuisce al progresso della società, rendendola più inclusiva e rispettosa dei diritti di tutti; i secondi lo considerano una forma di censura, che limita in qualche modo la libertà di espressione e di pensiero, se non anche quelle di critica e satira. E la seconda, per sua definizione, non può essere mai politicamente corretta.

I principi del “Politicamente corretto” sono basati sull'idea che tutti gli esseri umani sono uguali e meritano rispetto, indipendentemente dalla loro razza, etnia, religione, sesso, orientamento sessuale o disabilità. In base a questi principi è necessario evitare l'uso di espressioni o comportamenti che possano essere percepiti come offensivi o discriminatori nei confronti di questi gruppi sociali. Ad esempio, il politicamente corretto invita a non utilizzare termini come "negro" o "zingaro", che sono considerati offensivi nei confronti delle persone di colore o rom. Invita anche a non fare battute o commenti che possano essere percepiti come sessisti, omofobi o razzisti. L’utilizzo di un linguaggio corretto contribuirebbe così a creare una società più inclusiva e rispettosa dei diritti di tutti. In una società in cui tutti si sentano rispettati è più probabile che si creino le condizioni per la convivenza pacifica e la comprensione reciproca, prevenendo discriminazioni e oppressioni.

C’è poi chi, al contrario, ritiene il “politicamente corretto” una forma di censura che, vietando l'uso di determinate espressioni o comportamenti, condiziona o addirittura limita la libertà di espressione e di pensiero. Chi critica questa forma di “autoregolamentazione del linguaggio e della comunicazione” ritiene che possa essere un attacco alla libertà di espressione, impedendo così a chiunque di esprimere liberamente le proprie idee per timore di essere attaccato e ritenuto non politicamente corretto. Tra le ultime recenti “vittime” dell’accusa di non rispecchiare ciò che è politicamente corretto, si è arrivati negli ultimi anni a ricomprendere alcuni dei film italiani degli anni Sessanta e Settanta che hanno fatto la storia del cinema, ma anche pietre miliari della cosiddetta “commedia demenziale all’italiana” che era diventata proprio un genere tra la fine degli anni Settanta ed i primi Ottanta. Pellicole che nei dialoghi presentano esplicite battute sessiste e omofobe, ma comunque basate su una tagliente ironia verso i costumi ed il perbenismo dell’Italia di quegli anni.

Non è stato risparmiato dall’accusa di non essere “politicamente corretto” nemmeno “Amici Miei”, diretto da Mario Monicelli nel 1975, uno dei film italiani più popolari e amati di tutti i tempi. La pellicola racconta le avventure di un gruppo di amici toscani alle prese con la crisi di mezza età: una commedia esilarante e malinconica allo stesso tempo, che ha lasciato un segno indelebile nella cultura italiana. Il film segue le vicende di un gruppo di amici, tutti sui cinquant'anni, che vivono a Firenze. Il protagonista è Raffaello Mascetti (Ugo Tognazzi), un nobile decaduto che si guadagna da vivere truffando i turisti. Gli altri sono Giorgio Perozzi (Philippe Noiret), giornalista e redattore capo, Guido Necchi (Duilio Del Prete) che gestisce con la moglie Carmen un bar-ristorante con sala da biliardo, Rambaldo Melandri (Gastone Moschin), a cui si aggiunge anche il professor Alfeo Sassaroli (Adolfo Celi), brillante e famoso medico capo di una clinica in collina a Pescia, annoiato dalla professione, che diventa in breve tempo uno dei pilastri del gruppo. Uniti da una profonda amicizia e da una grande passione per gli scherzi, ogni fine settimana si ritrovano per organizzare le loro cosiddette "zingarate", ovvero delle scorribande notturne a base di scherzi, bevute e donne. E proprio la terminologia usata e alcuni temi, profondamente ironici, hanno fatto finire la pellicola nel mirino dei più accaniti sostenitori del “politicamente corretto”, senza contare che il regista e l’autore, Mario Monicelli, fosse già ai suoi tempi uno dei principali uomini di cultura italiani sostenitori di una società laica, accogliente e senza pregiudizi, capace anche di non prendersi mai troppo sul serio. Insomma: prematurata la supercazzola, o scherziamo?

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