Prendiamo una pandemia che ha costretto milioni di persone a puntare i riflettori sulla propria salute. E aggiungiamo poi un lungo lockdown che li ha obbligati per settimane in casa tra letto, divano e supermercato, ad aspettare che l’emergenza sanitaria si affievolisse trascorrendo il tempo anche tra i fornelli. Due eventi epocali forse sufficienti a cambiare le abitudini alimentari di mezzo mondo, più attento alla qualità dei cibi e non più disposto a scendere a compromessi.

Un trend confermato dal boom che il cibo made in Italy ha riscosso all’estero nel 2020. Salumi, formaggi, vini, conserve e chi più ne ha più ne metta. Tutti rigorosamente certificati e garantiti dai disciplinari più rigidi sul mercato: Doc, Dop, Igp e Stg.

Certo, a dirla tutta, in pochi conoscono il significato di questi acronimi, ma tutti sanno che sono sinonimo di altissima qualità italiana, riconosciuta ovunque nel mondo. Un successo trainato anche dalla Sardegna, capace due anni fa, in piena pandemia, di aumentare il fatturato dell’export di prodotti certificati di oltre il 32% e toccare i 276 milioni di euro.

Il successo

I numeri pubblicati dall’Ismea incoronano la cucina tricolore come la regina della buona tavola mondiale. E fanno emergere un crescente apprezzamento per i prodotti di alta qualità, sempre più graditi anche ai palati meno abituati ai sapori nostrani.

E su questo fronte l’Isola ancora una volta può rappresentare un esempio virtuoso. Basti pensare al Pecorino Romano Dop, fiore all’occhiello delle nostre esportazioni e pronto a conquistare mercati come quelli asiatici dove il consumo dei latticini è tutt’altro che quotidiano.

La locomotiva Italia con i suoi 841 prodotti è il Paese con il maggior numero di filiere Dop (Denominazione di origine protetta), Igp (Indicazione geografica protetta), Stg (Specialità tradizionale garantita) al mondo, un primato che la colloca davanti a Francia (697), Spagna (343), Grecia (260) e Portogallo (181). Per l’agroalimentare l’Italia vanta 315 prodotti (tra le quali anche le tre nuove registrazioni del 2021 che hanno inserito il Pistacchio di Raffadali Dop (Sicilia), la Pesca di Delia Igp (Sicilia) e l’Olio di Roma Igp (Lazio). Per il settore vitivinicolo si contano invece 526 denominazioni. Un universo che nell’anno più drammatico della storia recente, nonostante ristoranti chiusi, feste e cerimonie annullate e festività cancellate, è riuscito comunque a incassare quasi 17 miliardi di euro.

La buona tavola

Parmigiano, gorgonzola, prosecco e prosciutto. Mozzarelle, vino chianti, olio extravergine e pasta. L’elenco dei prodotti del Belpaese che fanno impazzire gli stranieri è lunghissimo e frutta al nostro Pil incassi a dieci cifre. “In realtà dopo anni di continua crescita l’agroalimentare italiano Dop, Igp e Stg ha visto un primo segnale di arresto in un 2020 condizionato fortemente dalla pandemia”, spiegano gli esperti dell’Ismea. “Malgrado ciò il settore mostra una buona tenuta, con un valore alla produzione che raggiunge i 7,31 miliardi di euro, per un -3,8% sull’anno precedente e con un trend del +29% rispetto al 2010”.

A livello di impatti territoriali il 2020 si caratterizza come un anno con molte conferme e alcune sorprese. Dopo un 2019 che aveva segnato una crescita per ben 17 regioni su 20, nel 2020 il calo del valore del comparto si spalma su oltre la metà delle regioni e soltanto in sette si registra una variazione di segno positivo. “Interessante è il dato per aree territoriali: se le quattro regioni del Nord-Est si confermano traino rappresentando oltre la metà del valore complessivo nazionale del settore DOP IGP (53%), solo l’area “Sud e Isole” mostra un incremento complessivo del valore nel 2020 rispetto all’anno precedente (+7,5%), con crescite importanti soprattutto per Puglia e Sardegna”.

Terra delle meraviglie

Il pensiero tuttavia va in automatico alle enormi potenzialità inespresse dell’Isola. Le nostre tradizioni enogastronomiche spaziano ovunque e le 44 denominazioni di origine presenti sul territorio (6 Dop, 2 Igp, 3 Stg, 18 vini Dop e 15 Igp) sembrano perciò insufficienti per mostrare al mondo il meglio della nostra tavola.

Per di più i consumatori hanno parlato chiaro: la qualità conta più di qualsiasi altro incentivo e forse quella incontaminata della Sardegna potrebbe valere anche di più agli occhi di un mercato alla costante ricerca di prodotti unici e inimitabili.

Il lasciapassare tra sogno e realtà purtroppo è in mano come sempre alla politica e alla capacità di organizzarsi degli imprenditori. Un lavoro di squadra concreto è alla portata di mano e darebbe ai quattro mori dell’agroalimentare il passaporto per conquistare definitivamente il mondo.

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