La notizia è riportata dal blog “Terz’ultima fermata” degli avvocati Vincenzo Gigli e  Riccardo Radi,  interviene sulla questione dell’uso dei telefonini per collocare una persona in un determinato luogo ed è oggettivamente importante.

In sostanza, il fatto che un cellulare agganci una cella i per sé non significa che chi stava usando il telefono si trovasse nell’area di riferimento della stessa cella.

Questo può essere decisivo in tutti quei processi dove si arriva a collocare le persone in un determinato luogo attraverso i dispositivi telefonici e le celle che agganciano.

Il principio è stato sancito da una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha in questo modo delimitato il peso probatorio attribuibile alla tecnica del cosiddetto positioning, ossia la localizzazione di un soggetto attraverso il tracciamento telefonico.

Secondo la Suprema Corte è un dato di massima esperienza il fatto che ogni cellulare emetta una frequenza che consente di collegarsi alla cella più vicina. Ogni cella copre una determinata parte di territorio nella quale c’è un’antenna in grado di recepire il segnale del telefono che si trovi nelle vicinanze.

Il problema è che quel segnale viene ricevuto con intensità diversa a secondo della vicinanza del telefono a una cella o a un’altra. Dunque si può stabilire soltanto con approssimazione la posizione del telefono che emette il segnale. Poiché l’apparato radiomobile che aggancia la cella si può trovare in tutti i punti del territorio che ricadono al suo interno, ecco che la possibilità di identificare la sua posizione è strettamente collegata alla superficie di copertura della stessa cella: più la cella è piccola, quindi nei centri urbani, maggiore sarà la precisione; se invece si tratta di una macro cella tipica degli ambienti extraurbani, sarà molto più difficile stabilire la posizione.

Non solo: in particolari condizioni di sovraccarico telefonico può pure succedere che il cellulare agganci una cella contigua alla porzione di territorio in cui si trova, dal momento che risulta più libera. Quindi le indicazioni fornite dal segnale captato dalla cella non consentono l’esatta localizzazione dell’utenza abbinata a un apparecchio telefonico mobile, sussistendo margini di errore anche di centinaia di metri, se non di chilometri.

Alla luce di questa incertezza l’affermazione della presenza in un certo luogo del detentore del dispositivo richiede necessariamente ulteriori elementi. Questi devono essere in grado di dimostrare innanzitutto la reale presenza fisica del cellulare in quel luogo; in secondo luogo devono poter escludere che il telefonino sia detenuto da qualcun altro; infine devono essere in grado di precisare l’esatta posizione del cellulare all’interno dell’area cui si riferisce la cella.

Secondo Giglio e Radi la decisione della quinta sezione penale della Corte di Cassazione è «condivisibile senza riserve». I due giuristi sottolineano come questa sentenza si contrapponga a «indirizzi interpretativi che valorizzano fideisticamente i risultati del positioning, ignorando i margini di errore connaturali». In questo modo invece si «applica rigorosamente la norma  secondo cui, limitatamente ai dati sul traffico telefonico o telematico, acquisiti in sede penale prima della sua entrata in vigore, li si possa utilizzare a carico dell’imputato solo unitamente ad altri elementi di prova>.

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