Quando “Canne al vento” fu pubblicato, nel 1913, a Galtellì non arrivò nemmeno l'eco della notizia. Nel piccolo paese raccontato nel romanzo la vita scorreva sempre uguale, così come l'aveva colta la scrittrice che fino a quindici anni prima vi trascorreva l'estate in villeggiatura, ospite delle sue amiche Agostina e Margherita Nieddu. Erano, le due signorine, parte della famiglia di nobili decadute finita dritta dentro le pagine del libro, con la storia del servo fedele, la nostalgia per la ricchezza perduta sotto le grinfie dell'usuraia, la sorella scappata in Continente per amore e lì morta dopo aver messo al mondo un bambino.

Le voci in paese

Dell'uscita del romanzo, si venne a sapere giusto un anno dopo. Fu per via delle amicizie di Agostina e Margherita, maestre elementari che avevano importanti conoscenze a Sassari e continuavano a frequentare i parenti di Nuoro, i Satta-Angioi. In paese corse la voce che la casa descritta in “Canne al vento” era senza sbaglio quella delle dame, e che c'erano i servi, i pretendenti che venivano messi alla porta, l'usuraia, il ricordo dell'antica ricchezza, e questa sorella scappata che, a dire il vero, nella realtà non c'era mai stata poiché l'unica delle sorelle ad aver lasciato la Sardegna era stata Filomena, che in famiglia chiamavano Mena. Si era innamorata di un geometra molto ricco, uno di Torino che era venuto a lavorare in paese per conto del Ministero. Si innamorarono e si sposarono: tutto alla luce del sole, con il consenso della famiglia.

L’ira di Pietra

«Grazia Deledda? Una bugiarda». Pietra Nieddu, classe 1872, fino all'ultimo dei suoi giorni (morì a 87 anni nel 1959) s'arrabbiava ancora quando le nominavano l'amica delle sorelle che aveva messo in piazza le questioni loro. La matriarca ferrigna era una delle sette sorelle Nieddu-Angioi - Agostina, Margherita, Anna Maria, Gaetana, Filomena, Francesca - che in “Canne al vento” cambiano cognome (Pintor) e diventano quattro; tre con nome biblico: Ruth, Ester e Noemi, più la sempre evocata Lia, la fuggitiva.

La morte di Angelino

Avesse aspettato, Grazia Deledda avrebbe raccontato la storia più bella. Che non era quella di Agostina e Margherita, maestre nelle povere scuole comunali della Baronia. Non quella di Francesca, morta a soli 27 anni, nel 1909. E neanche la storia di Anna Maria, sposa di un farmacista di Nuoro, uccisa dai postumi del parto dieci giorni dopo la nascita di Angelino, venuto al mondo il 20 dicembre 1893. Era scritta nel destino di Gaetana, l'avventura di un'eroina schiva e bellissima. «Era la più affascinante delle sorelle», dicevano le vecchie in paese. Il suo profilo perfetto è restituito soltanto dalla foto del ricordino mortuario, spedito ai parenti dopo la morte avvenuta nel 1932. Resta poco altro. Si sa solo che fu lei ad adottare il piccolo Angelino, visto che il padre andava a lavorare lontano. Lo accudì come fosse figlio suo, e quando il bimbo cominciò a perdere i dentini da latte, lei li raccolse uno a uno, dentro minuscole bustine di carta velina sopra le quali appuntò la data. Le tenne sempre con sé, come reliquie, da un giorno della primavera del 1916, quando arrivò la lettera del Comando militare che comunicava la notizia della morte del tenente di Fanteria Mesina Angelo, deceduto in battaglia il 23 maggio a Cima Vezzena.

Il nipote perduto

Donna Gaetana, convocata per ritirare gli effetti personali del nipote, partì per Sassari. Tornò giorni dopo, portando con sé un baule che custodiva abiti, libri, una sveglia. Da allora non vide più un giorno buono. Fu come se, dentro quel baule, avesse deposto per sempre anche il suo cuore.

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