Nessuno lo pensa mai in questa veste, ma Lev Tolstoj è stato un grande reporter di guerra. L’autore di capolavori della letteratura russa come “Guerra e pace” o “Anna Karenina” ci ha anche consegnato un piccolo libro, raramente citato, ma così prepotentemente tornato d’attualità in questi drammatici giorni di guerra in Ucraina. È “Racconti di Sebastopoli”, una raccolta pubblicata separatamente oltre un secolo e mezzo fa (tra il 1853 e il 1856). Storie drammaticamente illuminanti, attuali, da sembrare scritta ieri. Documentano la guerra di Crimea contro i turchi, culminata con una sanguinosa e dolorosissima sconfitta per i russi. Armi e colera immolarono 250 mila russi e 60 mila inglesi, francesi e piemontesi. Ma quei “reportage” dal fronte, oltre a essere una severa riflessione sulla guerra, spinsero Tolstoj a cambiare il suo pensiero per approdare al rifiuto assoluto di qualsiasi uccisione, diventando un profondo pacifista, nel senso più totale della parola, un apostolo della non resistenza al male, interprete rivoluzionario della parola di Cristo. Fu proprio in Crimea, la Tauride russa (toponimo con il quale gli antichi greci chiamavano la penisola) che Tolstoj cominciò a elaborare il trauma della guerra trasformandolo in tema letterario.

Ma torniamo alla Crimea, teatro di guerra tutt’altro che distante da quello di oggi, e anzi territorio, di fatto, già entrato nel conflitto innescato dal presidente russo Vladimir Putin, e alla difesa di Sebastopoli, descritta da Lev Tolstoj. Nelle 150 pagine (una sorta di reportage sulla distruzione della roccaforte sul mar Nero)  non c’è l’atmosfera epica, né l’ampio respiro di “Guerra e Pace”, ma quei racconti saranno la matrice del suo capolavoro.

Ufficiale della 14esima brigata di artiglieria, Tolstoj partecipò a molte azioni dell’epopea di Sebastopoli con il suo spaventoso spreco di uomini e di mezzi, con la sua tragica conclusione che mette a nudo la debolezza della monarchia russa. I tre racconti, diversissimi nella struttura e nei materiali, sono assolutamente unitari nel tono e nella problematica: la denuncia dura, lucida, ferma dell’assurdità della guerra. La vera protagonista dei tre episodi è la verità: una verità sgradevole, aspra, talora ripugnante, ma a cui Tolstoj non vuole rinunciare, anche a costo di indisporre i lettori. A far da sfondo alla tragedia della guerra, la natura: con le albe incantevoli, i tramonti struggenti, essa perpetua il suo ciclo, indifferente ai tormenti degli uomini.

Nel primo racconto, Tolstoj attraversa le vie di Sebastopoli per raggiungere i bastioni dove infuria la battaglia: scruta le rovine dei borghi, lo scempio dei corpi, la sofferenza dell’anima. Descrive uomini stremati, avvolti in panni gelati; si fa strada in un’umanità straziata, derelitta e indifesa. Lo scrittore ci dice ancora della dedizione dei soldati ai quali è affidata la difesa di Sebastopoli: i veri eroi, vittime della follia degli uomini. Che cosa c’è di diverso 150 anni dopo?

Il secondo racconto Tolstoj lo dedica al ritratto degli ufficiali, al desiderio di gloria che li spinge, alla vanità che li muove; forti di questi sentimenti avanzano verso il bastione sotto una pioggia di bombe e lo fanno per appagare il sogno di una medaglia. Lo splendore della natura ha lasciato posto a crude descrizioni della carneficina. Lo scrittore mostra pietà per tutti e sente un’umana partecipazione di fronte alla paura e alle debolezze umane; però si interroga sul senso dell’orrore, respingendo la retorica della guerra come evento glorioso e non privo di bellezza. Non a caso il capitolo si chiude con l’affermazione: «L’eroe del mio racconto è la verità». Ed è la verità sull’assurdità della guerra il più prezioso lascito di Tolstoj al lettore.

Infine il terzo e ultimo racconto dice del viaggio di due fratelli verso Sebastopoli, da cui non torneranno: sognatore il più giovane, più consapevole il fratello maggiore. Torna subito alla mente l’immagine, che ha fatto il giro del mondo, dei corpi a terra di padre, madre e due figlie, straziati dalla sventagliata di mitra dei soldati russi, mentre cercavano di oltrepassare un ponte per raggiungere il confine polacco.  «Perché si fanno le guerre?», si chiede in chiusura Lev Tolstoj?

Di certo, dal passato abbiamo imparato ben poco.

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