I ritratti, quelli ieratici accanto a quelli enigmatici. Poi le rappresentazioni sacre, i paesaggi e gli scorci di città. E ancora ceramiche, installazioni e sculture. Un mondo d’arte racchiuso in 160 anni e raccontato, prima dalla mostra e ora dal magnifico catalogo De insula. Mostra e catalogo hanno due firme, Antonello Carboni e Silvia Oppo. Lo scenario è il Museo diocesano arborense di Oristano che continua a riservare sorprendenti esposizioni, capaci di attrarre appassionati ed esperti di arte, accanto a visitatori non addetti ai lavori che apprezzano le iniziative.

L'interno del catalogo (foto Mocci)
L'interno del catalogo (foto Mocci)
L'interno del catalogo (foto Mocci)

La mostra offre “squarci di meravigliose pagine di cronaca e di storia del capitale artistico raccolto in Sardegna esclusivamente dai collezionisti privati” spiegano Silvia Oppo e Antonello Carboni. “Un vasto arco di tempo viene raccontato nei volti, nelle luci, nei costumi, nelle forme, attraverso un affascinante mondo iconografico che è parte integrante della nostra identità. Circa trecento opere, tra tele, ceramiche, installazioni e sculture che, a ben osservare nella loro narrazione, manifestano i cambiamenti di epoca sia da un punto di vista stilistico sia da un punto di vista antropologico, sociale e culturale”.

Il catalogo viene introdotto dall’arcivescovo Roberto Carboni e il sindaco Massimiliano Sanna. E una introduzione spiega l’opera, a cura di Silvia Oppo direttrice del museo, e Antonello Carboni.

L'interno del catalogo (foto Mocci)
L'interno del catalogo (foto Mocci)
L'interno del catalogo (foto Mocci)

Il viaggio estetico inizia in clima rarefatto, come nel ritratto ieratico di signora realizzato da un grande maestro dell’Ottocento come Marghinotti, e si conclude in un magmatico evo contemporaneo”. Magmatico perché in continuo movimento e sviluppo.

“Giovani artisti talentuosi emergono nei primi del Novecento e le committenze si ampliano lentamente grazie al nuovo ceto borghese in cerca di prestigio e di un posizionamento sociale. Fioriscono sempre più le botteghe, le Mostre di arte sarda si affermano e il clima del dibattito culturale si fa più intenso. Le sale espositive celebrano artisti come Ballero, Rossino e Melis Marini mentre Ciusa si inserisce in modo unico e considerevole come anello di congiunzione che lega il passato al presente dei giovani Altara, Dessy, Albino Manca e Federico Melis. Ma per assistere al vero cambiamento di paradigma sarà necessario attendere la fine degli anni Cinquanta. Negli anni Sessanta si costituisce un mondo binario, la tradizione da un lato, che si cristallizza e procede lenta verso il suo naturale declino, e la sperimentazione dall’altro, che guarda con voluttà al mondo che cambia”.

E questo cambiamento si riflette inevitabilmente nell’arte, nelle opere degli auto che assorbono e plasmano secondo i loro stili e i loro personali punti di vista.

Il catalogo è impreziosito dai testi di Sara Mocci, Simone Mereu, Giambernardo Piroddi, Tonino Casula, Federico Soro, Antonella Camarda.

Una pagina (foto Mocci)
Una pagina (foto Mocci)
Una pagina (foto Mocci)

E c’è un interessante contributo di Antonello Carboni sulla Scuola d’arte applicata di Oristano, istituita nel 1925. “Offriva ai giovani la possibilità di frequentare un corso integrativo alternativo e paritario alla 6, 7 e 8 elementare al fine di prepararli allo studio specializzato delle varie arti applicate. I documenti, allo stato attuale della ricerca, attestano che i docenti di materie artistiche erano tre: Francesco Ciusa, insegnante di figura, ornato modellato e lezioni pratiche di officina; Carmelo Floris, titolare di due cattedre: figura, ornato disegnato-disegno geometrico, disegno di composizione, elementi tecnici stili e anatomia artistica; Davide Cova, ingegnere, insegnante di prospettiva, teorie delle ombre, arte muraria ed elementi di architettura. Ciusa realizzò nei laboratori del palazzo delle Missioni, in piazza Manno, il monumento ai caduti di Cabras e l’Anfora sarda in gesso con la quale partecipò alla Biennale di Venezia nel 1928”. Purtroppo, come ricorda Antonello Carboni, la vita della scuola fu assai breve: in fatti a partire dal novembre 1928 subì un processo di trasformazione in Scuola pareggiata di avviamento a indirizzo artistico e industriale che ci concluse dopo due mesi in Scuola secondaria di avviamento al lavoro. Nel 1929 si chiuse per Oristano una pagina di storia epica e sperimentale, che pose certamente le basi culturali per lo sviluppo artistico delle maestranze locali e delle future istituzioni scolastiche come la Scuola d’arte ceramica di Oristano, avviata nel 1949 da Giorgio Luigi Pintus, e infine l’Istituto statale d’arte, nel 1961 per volontà di Antonio Corriga affidato alla direzione di Arrigo Visani.

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