I libri sono stati la scenografia della sua vita fin dall’infanzia. «Mio nonno era un collezionista di libri, mentre mio padre amava i Gialli Mondadori, ricordo quella schiera di volumi, mi affascinavano con la loro copertina gialla. Io avevo sette-otto anni, mi era stato vietato leggerli per via degli argomenti. Venivo dirottato sui fumetti».

Piergiorgio Pulixi (foto concessa da Piergiorgio Pulixi)
Piergiorgio Pulixi (foto concessa da Piergiorgio Pulixi)

Piergiorgio Pulixi (foto concessa da Piergiorgio Pulixi)

È stato comunque un imprinting: se oggi Piergiorgio Pulixi, 41 anni, cagliaritano, è uno degli scrittori di maggior successo nel panorama sardo e non solo, uno dei pochi professionisti autentici del settore, lo deve anche a quell’ambiente familiare che poi è diventato il suo mondo. Pulixi voleva diventare uno scrittore e ha dedicato tutto se stesso per questa missione. «Ho lavorato come aiuto bibliotecario a Selargius, poi nella libreria Miele Amaro a Cagliari, in attesa di un’occasione, un’opportunità».

Quando è arrivata?

«Nel 2005-2006 ho conosciuto lo scrittore Massimo Carlotto che ha fondato una scuola di giallisti e un collettivo, Mama Sabot, con tanti altri giovani, come Andrea Melis, Renato Troffa, Ciro Auriemma, Michele Ledda e Stefano Cosmo. Ho imparato tanto, tutto, e soprattutto ho cominciato a scrivere per professione. È stata la svolta nella mia vita professionale. Perdas de Fogu, un giallo legato al poligono di militare di Quirra, è stato fondamentale per me».

Come si diventa giallisti, scrittori di noir?

«Carlotto è un maestro e le sue lezioni partivano dallo studio dei personaggi, degli ambienti, dalla strada letteraria per creare un’attesa nel lettore, per accrescere la consapevolezza del personaggio nel corso delle pagine. Un lavoro di introspezione e studio, un lavoro anche di fatica, non solo di immaginazione».

Diventare scrittore cosa vuol dire?

«Per me è stato realizzare un sogno, faccio la cosa che più volevo e che più mi diverte, e negli anni ho capito che scrivere comunque mano a mano che il tempo passa è sempre più difficile, che ogni nuovo libro è più complicato dei precedenti , che deve esserci una crescita, professionale, personale, dietro ogni pagina. È un grande impegno per il quale devi essere pronto a sacrificare tutto».

Per esempio?

«Io volevo scrivere e ho deciso di farlo. Ovviamente dovevo anche mantenermi e per questo ho fatto l’emigrante, ho vissuto all’Estero accettando i lavori più umili che mi consentissero comunque di scrivere e di dedicare poi tre mesi all’anno alla promozione dei elle mie pubblicazioni. Ho sacrificato egoisticamente affetti, amicizie, ho sottratto tempo alla mia famiglia per rincorrere questa passione totalizzante, che spesso ha assunto i contorni di un'ossessione. Non è stato facile, non è facile».

Piergiorgio Pulixi (foto concessa da Piergiorgio Pulixi)
Piergiorgio Pulixi (foto concessa da Piergiorgio Pulixi)
Piergiorgio Pulixi (foto concessa da Piergiorgio Pulixi)
Piergiorgio Pulixi (foto concessa da Piergiorgio Pulixi)
Piergiorgio Pulixi (foto concessa da Piergiorgio Pulixi)
Piergiorgio Pulixi (foto concessa da Piergiorgio Pulixi)

Come nascono le sue storie?

«Spesso da fatti di cronaca. Ce l’ha insegnato Carlotto a prestare attenzione a quel che succede nelle province, nei paesi. Mi è capitato di conoscere giornalisti, poliziotti, carabinieri, magistrati, che – senza entrare nel merito delle vicende ovviamente – mi hanno illustrato la metodologia di indagine, l’aspetto procedurale tecnico giuridico. Molto importante è stato in qualche caso parlare con le vittime di certi crimini, o con i familiari, che possono far capire da un altro punto di vista le vicende di cronaca di cui parlano i telegiornali. Ovviamente poi tutto diventa finzione, ma con un rispetto etico e morale dei fatti che accadono tutti i giorni. Ho ricevuto due premi letterari assegnati da una Questura proprio per la veridicità dei miei libri rispetto all’iter giudiziario: ne sono molto orgoglioso».

Quante ora lavora al giorno?

«Io personalmente scrivo in genere dalle 4 alle 7,30 del mattino. Poi stacco, e magari dopo qualche ora leggo e studio per conto mio, perché è fondamentale in questo lavoro non smettere mai di leggere e di studiare, quindi di pomeriggio faccio la revisione di quel che ho scritto di primo mattino. È un lavoro di metodo».

Piergiorgio Pulixi (foto concessa da Piergiorgio Pulixi)
Piergiorgio Pulixi (foto concessa da Piergiorgio Pulixi)
Piergiorgio Pulixi (foto concessa da Piergiorgio Pulixi)

Quali autori legge, per piacere o per aggiornarsi?

«La lista sarebbe infinita. Cerco di leggere tutto ciò che le mie colleghe e i miei colleghi dell'area giallo-noir scrivono, per rimanere aggiornato e capire che poetica stanno seguendo. Michael Connelly, Tana French, John Grisham, Jo Nesbo, Cormac McCarthy, Pierre Lemaitre, Lee Child, Louise Penny, De Giovanni, Don Winslow sono tutti maestri nel mio genere che più che leggere, studio e analizzo per comprendere cosa si cela dietro le loro brillanti scritture. Stephen King è l'autore a cui sono più legato per questioni affettive: è stato il primo, vero innamoramento letterario. Sono diventato a mia volta collezionista di tutte le opere di Ed McBain, Georges Simenon e Agatha Christie. Ammiro poi tantissimo la scuola del giallo italiana, che ha fatto tantissimo per nobilitare questo genere agli occhi del grande pubblico: Camilleri, Lucarelli, Carlotto, Fois, De Cataldo, DeGiovanni, Macchiavelli, Verasani, Carofiglio e prima di loro De Angelis, Sciascia, Eco, Gadda e Scerbanenco hanno mostrato quanto intrattenimento e prosa letteraria potessero coesistere».

Uno dei personaggi più importanti dei suoi libri è il poliziotto Vito Strega.

«L’ispirazione mi è arrivata quando lavoravo a Londra: vedevo tantissimi poliziotti di Scothland Yard di colore, alti funzionari, impeccabili. Immaginavo che prima o poi sarebbe accaduto anche in Italia, e ho voluto precorrere i tempi, immaginando i problemi che il colore della pelle avrebbe generato. Strega è un poliziotto particolare, mulatto, uno sportivo, con i suoi tormenti sentimentali, una dedizione al lavoro maniacale alla quale ha sacrificato tutto, di un grande rigore morale, capace di instaurare legami personali con le vicine di casa, una vecchietta e una ragazzina, e con la sua gatta che percepisce come una donna. Mi ricorda un po' il commissario Maigret diGeorges Simenon, ma con un animo tormentato come Harry Hole di Jo Nesbo».

Poi le due ispettrici, una sarda, l’altra metà milanese e metà irlandese.

«Mara Rais ed Eva Croce non potrebbero essere più diverse tra loro, per carattere, abbigliamento, eppure, aspetto non facile tra le donne, negli anni sono diventate complici e amiche».

Personaggi come pennellate d’autore.

«Ho un gruppo di venti persone alle quali mando le bozze dei miei libri. Molte sono donne che mi aiutano proprio sugli aspetti femminili dei personaggi. Sono una risorsa davvero preziosa».

Il suo legame con la Sardegna.

«Come tutti gli emigrati, anche se adesso son tornato a Cagliari, ho un rapporto particolare con la Sardegna, un amore viscerale che penso traspaia anche dai miei libri. Il primo ambientato in Sardegna, “L'isola delle Anime”, è arrivato dopo una produzione che avevo voluto scientemente tenere lontano. Da allora però la Sardegna è al centro della mia opera e a mio avviso a questo punto non potrebbe essere altrimenti. L’ultimo libro è ambientato nel quartiere di Cagliari di Sant’Elia, e vuole anche essere in qualche modo un omaggio allo scrittore Sergio Atzeni, che in quella zona aveva ambientato Bellas Mariposas, capolavoro assoluto».

I suoi libri diventeranno serie tv?

«Sono stati acquistati i diritti televisivi. Non so se i miei romanzi diventeranno mai delle fiction, ma spero che presto anche la Sardegna diventi teatro di questo genere cinematografico: ogni Regione ha la sua serie tv poliziesca, eccetto la Sardegna. Una lacuna da colmare».


 

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