Un grande sforzo degli uffici per mettere insieme tre milioni di euro: praticamente spiccioli, per uno Stato come l’Italia. E quei soldi sono da dividere tra 296 amministrazioni pubbliche, cioè quelle che hanno segnalato all’Agenzia delle entrate situazioni di infedeltà fiscale dei propri cittadini riguardanti l’Irpef, l’Ires, l’Iva, le imposte di registro/ipotecarie e catastali: in media, sono due soldi. Anzi, espressi in euro, sono poco più di diecimila per ogni Comune che ha combattuto la battaglia contro l’evasione. E pensare che quelle 296 amministrazioni locali sono esattamente il cento per cento di quelle italiane che l’hanno fatto, perché gli altri sindaci – dall’assegnare questo lavoro agli uffici – si sono ben guardati. Con una precisazione: ai Comuni, fino a quest’anno, è riconosciuto il 50 per cento dell’evasione che accertano, quindi le loro segnalazioni sono per sei milioni di euro. Dall’anno prossimo si prenderanno l’intero “bottino”, ma restano comunque pochi soldi: poco più di ventimila euro l’anno.

Anche il contributo ai bilanci dello Stato, da parte dei sindaci diligenti, è assai modesto: secondo i dati raccolti dall’Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, quindi la Cgia, che ha un prolifico Ufficio studi in grado di sfornare continuamente utilissime statistiche basate su dati ufficiali, l’evasione fiscale totale in Italia ammonterebbe a 93 miliardi di euro l’anno. Quei sei milioni, insomma, aiutano ma sono più giustizia morale che vantaggi economici per la pubblica amministrazione. Ma sono comunque soldi dei Comuni e dello Stato.

Forse i sindaci non sanno che i cittadini evadono tasse e tributi? È decisamente da escludere: come afferma con sicurezza la stessa Cgia, in realtà davanti all’evasione preferiscono girarsi dall’altra parte. Lo fanno quasi tutti i sindaci e gli amministratori comunali del Paese. Lo dicono i numeri: i Comuni in Italia sono 7.900, ma a trasmettere nel 2023 “segnalazioni qualificate” agli uffici del fisco sono stati soltanto quei 296, a volte per somme irrisorie. Insomma, su quest’evasione siamo non al vuoto, ma al quasi pieno “a perdere”.

A Milano si sono dati da fare, e con il contrasto all’evasione il Municipio si è visto accreditare nel 2023 la bellezza di 397.991 euro. La seconda in classifica è Genova con 381.871, poi la cinesissima (per via dei molti imprenditori orientali) Prato con 184.579 euro e, a quarto posto, Lodi con 157.435. Tra i primi dieci posti in classifica non ci sono amministrazioni locali sarde e spicca il lavoro svolto da Cernusco del Naviglio con 75.880 euro e Segrate con 67.443: in entrambi i casi siamo nell’hinterland milanese.

Nel Mezzogiorno, fanno sorridere le men che simboliche prestazioni di Bari (recuperati 1.776 euro di imposte evase), Palermo con 1.373, Napoli con 773 e Agrigento con 267. Se invece andiamo a vedere Catania, Caserta, Foggia e Trapani, il totale delle imposte evase e recuperate è zero.

Uno sguardo alla Sardegna: nella classifica nazionale di contributi erogati ai Comuni capoluoghi di provincia per aver partecipato alle attività di accertamento fiscale e contributivo nell’anno precedente, nell’Isola spicca Sassari al 28° posto, passata dai 18.679 euro di qualche anno fa ai 3.280 del 2023. Cagliari è ottantesima con cento euro di accertamento nel 2016 e niente più negli anni seguenti. Al gradino 103 c’è Oristano: mai recuperato nemmeno un centesimo. Fanno assai meglio Comuni come Golfo Aranci con quasi quattromila euro recuperati, Santa Teresa di Gallura con 2.803, Alghero con 610 e Serdiana con 112, chiudendo con Serrenti che ha recuperato 23,49 euro. Ci affrancherà qualche lettera.

Quindi, il problema è chiaro: i sindaci non fronteggiano l’evasione. Perché? La Cgia di Mestre analizza il motivo di questo scarsissimo interesse all’evasione/elusione fiscale e tributaria da parte dei propri cittadini. Però, si fa notare, le segnalazioni di evasione fatte dai Comuni devono essere puntuali, circostanziate e completate con i dati identificativi dell’evasore. È un lavoro non da poco, ma il problema è anche un altro: nei Municipi il personale scarseggia, e per svolgere il lavoro di accertamento è invece necessario contare su personale sufficiente, formato e qualificato per quest’attività in un certo senso investigativa.

Fin qui, i problemi legati ai limiti di operatività dei Comuni, soprattutto nel Mezzogiorno, ma c’è un’altra causa: per molti sindaci, che notoriamente diventano tali perché la popolazione li vota, far beccare gli evasori sarebbe per loro controproducente, particolarmente per chi è al primo mandato. In molte regioni del Paese, il consenso politico si gioca anche sulla poca attenzione delle amministrazioni in carica su quanto i cittadini devono e non versano, e pure nel voltarsi dall’altra parte davanti a un cantiere per una casa abusiva o a un disoccupato che s’inventa un’attività lavorativa “in nero”. La Cgia ha controllato quanti, di quei 296 Comuni “virtuosi” che sanzionano, sono nel Mezzogiorno d’Italia: la risposta è 40, dunque un’esigua minoranza. E nessuno di quei quaranta è in Sardegna.

A quanto pare, molti sindaci hanno problemi di vista anche per quanto riguarda oggetti grandi come una casa: una casa, appunto. Nel 2022 si è avuto un leggero calo dell’abusivismo edilizio, che ha registrato il suo picco massimo in Basilicata e in Calabria (54,1 per cento). Poi la Campania (50,4), la Sicilia (48,2) e la Puglia (34,8). Spesso sono interi quartieri sorti laddove non si poteva posare neanche un mattone. Altro che Val d’Aosta e Piemonte, dove sono abusivi il 4,2 per cento dei caseggiati esistenti.

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