Continua la ricostruzione della lunga vicenda che per oltre 30 anni ha portato in carcere un innocente.

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Il 9 gennaio 2024 Paolo Melis prende posto sul banco dei testimoni nell’aula della Corte d’appello di Roma e giura di dire «tutta la verità e di non nascondere nulla di quanto a mia conoscenza». Formula di rito che stavolta, nel corso del processo di revisione della condanna all’ergastolo inflitta al pastore Beniamino Zuncheddu di Burcei, ha una valenza se possibile anche più importante.

Il pastore

L’ex dipendente della famiglia Fadda, trucidata l’8 gennaio 1991 sulle montagne tra Burcei e Sinnai (700 metri di altitudine, le antenne di Serpeddì a breve distanza), nei decenni precedenti alle forze dell’ordine ha dato diverse versioni su un episodio decisivo per risolvere il mistero sulla strage: la minaccia, cioè, che un giovane allevatore di stanza a Masone Scusa aveva rivolto a Giuseppe Fadda, figlio del patriarca Gesuino, poi ucciso col padre da uno o più assassini quella sera d’inverno a Cuile is Coccus (i due ovili erano confinanti) assieme al pastore Ignazio Pusceddu, loro dipendente. «Quel che fai alle vacche un giorno sarà fatto a te», disse qualcuno al ragazzo mentre questi esplodeva alcune fucilate contro le vacche dei “rivali” che puntualmente invadevano i pascoli altrui. Un chiaro presagio di morte. Chi lo pronunciò? E quando?

Lo fece Zuncheddu, secondo la sentenza definitiva che condannò il giovane capraro di Burcei. Pronunciamento arrivato anche sulla base della testimonianza di Melis: fu lui a fare il suo nome avendolo saputo, disse all’epoca, proprio da Giuseppe Fadda. Rivelazione che però arrivò dopo altre di tenore diverso.

Francesco Piantoni, pg a Roma nel processo di revisione
Francesco Piantoni, pg a Roma nel processo di revisione
Francesco Piantoni, pg a Roma nel processo di revisione

Le versioni

Nella prima, subito dopo la mattanza, il testimone disse ai carabinieri di aver incontrato il figlio del suo ex datore di lavoro nell’agosto del 1989 a Sinnai durante una festa paesana e che il ragazzo lo mise al corrente di quella minaccia, ricevuta in effetti mentre sparava alle vacche degli allevatori confinanti, ma non gli rivelò il nome del responsabile.

Nella seconda, resa poche settimane dopo, a suo dire Fadda fece riferimento al nipote di uno degli allevatori di Masone Scusa, senza tuttavia svelarne il nome.

Nella terza, raccolta di notte nei locali del Municipio di Sinnai dal poliziotto Mario Uda, protagonista delle indagini ma anche amministratore di quel Comune, affermò di aver in realtà assistito all’episodio e di aver sentito quella frase, il cui autore però, distante circa 100 metri, non era riuscito a riconoscere. Una persona che comunque, così gli spiegò Giuseppe Fadda, era nipote di un certo Armando Pisu.

Nel 2023

Per trent’anni si era rimasti a quest’ultima dichiarazione. Ma nel novembre 2023, chiamato a testimoniare nella Capitale durante il processo di revisione, Melis davanti ai giudici fornisce un quarto resoconto, questo: aveva assistito in diretta all’episodio e non aveva riconosciuto il responsabile ma proprio Fadda gli aveva detto subito che si trattava di Beniamino Zuncheddu. Una verità, assicura in aula, che lui stesso svelò poco dopo a Uda. Il quale in seguito, mentre si stringeva il cerchio sul sospettato, in Procura a Cagliari gli mostrò proprio la foto del pastore di Burcei sostenendo si trattasse della persona indicata da Fadda e facendogliela firmare. Tutte versioni però mai verbalizzate.

Beniamino Zuncheddu e l'avvocato Mauro Trogu in aula a Roma
Beniamino Zuncheddu e l'avvocato Mauro Trogu in aula a Roma
Beniamino Zuncheddu e l'avvocato Mauro Trogu in aula a Roma

Il confronto

Così ecco la necessità, pur trascorso tanto tempo, di metterlo a confronto col poliziotto. E il 9 gennaio 2024 i due sono uno davanti all’altro nella caserma dei carabinieri di Maracalagonis, dove è stato organizzato un collegamento da remoto con l’aula della Corte d’appello di Roma dove i magistrati e gli avvocati fanno le domande e ascoltano le risposte.

Il pastore è palesemente a disagio. Incerto, intimorito, in difficoltà. Ha ancora paura. Di frequente non risponde, sostiene di non avere memoria di episodi e circostanze. Il primo incontro con l’ispettore Mario Uda? Non ricorda quando avvenne. E inizialmente neanche sapeva fosse un poliziotto, perché a inizio indagine l’investigatore si presentò come amico della famiglia Fadda. Appena scoperto il suo vero ruolo però, così assicura, gli fece subito il nome di Beniamino Zuncheddu quale autore delle minacce di morte a Giuseppe Fadda. O comunque «penso di averlo fatto», aggiunge. Conferma di aver visto la scena e la persona, la quale in lingua sarda disse «quel che fai alle vacche lo faranno a te» o «lo farò a te» a Giuseppe Fadda, il quale a quel punto gli spiegò di chi si trattava.

Uda a sua volta conferma e aggiunge che all’epoca Melis gli disse di essere anche in grado di riconoscere il responsabile avendolo visto a volte in paese su un motorino; Melis invece nega questo dettaglio («mai parlato di vespino rosso») e anche di essere andato da Uda in Comune di notte per rilasciare dichiarazioni, come invece il poliziotto ribadisce.

Beniamino Zuncheddu in Corte d'appello a Roma
Beniamino Zuncheddu in Corte d'appello a Roma
Beniamino Zuncheddu in Corte d'appello a Roma

Infine Melis resta fermo sull’ultima versione: aveva riconosciuto Zuncheddu vedendolo nell’unica foto che gli mostrò proprio Uda al Palazzo di giustizia di Cagliari nel 1991 prima che si tenesse l’incontro col pm titolare dell’inchiesta. Ma l’investigatore dal canto suo ancora una volta sostiene una cosa diversa: le foto erano almeno quattro e quando furono messe sul tavolo c’era anche il magistrato inquirente. Insomma, quale sia la verità resta difficile da capire. Soprattutto a distanza di oltre tre decenni dagli avvenimenti. E neanche l’udienza a Roma riesce a chiarire i dubbi.

Una manifestazione di solidarietà per Beniamino Zuncheddu davanti alla cittadella giudiziaria di Roma
Una manifestazione di solidarietà per Beniamino Zuncheddu davanti alla cittadella giudiziaria di Roma
Una manifestazione di solidarietà per Beniamino Zuncheddu davanti alla cittadella giudiziaria di Roma

L’allevatore

Nella stessa occasione viene sentito anche l’allevatore 63enne Francesco Mulas il quale, ultimo a deporre, spiega che conosceva Gesuino Fadda («per me come uno zio») e Beniamino Zuncheddu («l’uomo più innocuo del mondo»), poi ribadisce ciò che già disse nel processo di primo grado: nelle ore della strage, commessa intorno alle 18, a suo dire il pastore di Burcei passò per le strade del paese a bordo del suo Vespino. Quindi non poteva essere nell’ovile. Una versione già ritenuta inattendibile nel 1991, tanto che l’alibi fornito a Zuncheddu fu ritenuto falso.

13) Continua

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