Da un giorno all’altro la sua identità social è sparita nel nulla, cancellata per sempre. Anni e anni di post, commenti, articoli, condivisioni, foto e messaggi – su tante tematiche di attualità – sono stati eliminati da Facebook e Instagram, insieme ai suoi profili. Claudia Sarritzu, giornalista e scrittrice cagliaritana, si è ritrovata da un giorno all’altro senza più nulla. Il perché? I suoi account, seguiti da oltre 30mila follower ufficiali, non avrebbero, secondo Meta, “rispettato gli standard della community in materia di integrità dell’account”. Nessuna spiegazione su cosa abbia fatto per non rispettare questi “standard”. Ma lei ha un’idea ben precisa di cosa sia accaduto: «I miei contenuti su quanto sta succedendo a Gaza sono circolati sempre più nella settimana precedente alla cancellazione dei mie account. Probabilmente ho subito tantissime segnalazioni e l’algoritmo ha deciso di eliminare le mie identità social».

Quando e come si è accorta che il suo profilo Facebook e quello Instagram erano stati bloccati?

«Una mattina mi sono collegata come faccio sempre e un messaggio mi avvertiva che il mio account era stato sospeso momentaneamente per delle verifiche su delle segnalazioni fatte per capire se avessi violato gli standard della community. Poi, dopo tre ore mi è arrivata la comunicazione: avendo violato questi standard, avevo perso tutto. Il miei profili Facebook, uno privato e pubblico, con più di 32 mila follower, oltre a quello su Instagram sono stati così bloccati».

Cosa ha provato? Non si è trattato solo di censura: in un attimo le sono stati cancellati anni di vita e lavoro?

«Sono rimasta senza nulla. È uno choc perché perdi tutto. C’è un link per recuperare dei contenuti: ma funziona male e ti permette di riavere indietro davvero pochissima roba. Viene di fatto cancellata la tua identità digitale. Avevo aperto il profilo nel 2008: è qui c’era di tutto, sia contenuti di vita personale che professionale. Ti cancellano la tua storia. Ci sono certamente molte cose terribili in questo modo, dunque non voglio fare la vittima per una cosa minima rispetto a quello che sta accadendo in giro: ma si tratta in un certo senso di violenza perché i social hanno in mano molto di noi. Noi abbiamo affidato tutto ai social, e forse siamo poco tutelati. È un po’ come se qualcuno venisse a casa tua a bruciare foto e ricordi».

Quali sono le violazioni che ha commesso?

«Nel messaggio stringato non viene fatto alcun riferimento».

Cosa avrebbe scritto o riportato di così grave da spingere Meta a chiudere i suoi profili?

«Penso che la cosa più logica sia l’aver postato troppo su quello che sta accadendo a Gaza: ho infatti sospeso i post su alcuni argomenti a me molto cari, come i femminicidi, le discriminazioni e il linguaggio di genere, per concentrarmi di più sui fatti di Gaza. Una pubblicazione iniziata anche quando Facebook stava penalizzando questi contenuti: per questo utilizzavo, per esempio, il numero 4 al posto della A di Gaza, e il numero 1 per la I di Israele. Un modo per provare ad aggirare l’algoritmo ed evitare penalizzazione nelle visualizzazioni. Poi deve essere cambiato qualcosa e ho iniziato a ottenere migliaia di visualizzazioni. Un post in particolare, su una madre palestinese che ha perso nove figli, ha ottenuto sedicimila condivisioni. L’account è cresciuto. E questo, immagino, può aver portato a molte segnalazioni da parte di chi non è d’accordo. Insomma non ho certamente violato nessuna regola ma la mole di segnalazioni ha fatto scattare la verifica dell’algoritmo e il blocco».

Cosa può fare per riavere indietro tutto?

«Ho fatto un primo ricorso, ma non è servito a nulla. Ho un profilo base e non a pagamento. Il controllo è stato fatto certamente da algoritmi e dunque non si può fare altro. Potrei affidarmi a esperti tecnici e avvocati per una battaglia legale. Deciderò anche se è un percorso lungo e dall’esito molto incerto».

Quando è nato e perché il suo interesse per le questioni palestinesi?

«Quando ho lavorato per dieci anni per Globalist mi occupavo di politica estera e geopolitca. Scrivevo su questi argomenti. E ho continuato a interessarmi di queste tematiche che comunque mi attiravano già da quando frequentavo le scuole superiori».

Da giornalista, come valuta l’attenzione della stampa su quanto sta accadendo a Gaza?

«Una valutazione pessima. C’è una differenza enorme tra come è stata raccontata la guerra in Ucraina e quanto sta succedendo a Gaza. La questione palestinese viene raccontata in modo diverso. C’è una popolazione sotto accatto e la stampa non ha chiarito molti aspetti. Sembra esserci un timore reverenziale nei confronti di Israele e dunque una censura su cosa sta accadendo alla comunità palestinese».

Ha avuto molti attestati di stima, anche da persone che non conosce di persona ma proprio grazie ai social?

«Il nostro lavoro oramai non può prescindere dai social. Permette di arrivare a tantissime persone, anche ai giovani. Inoltre i social ti permettono di conoscere molto di quello che sta succedendo a Gaza e nel resto del Mondo che altrimenti non potremmo sapere attraverso la stampa tradizionale

La sua nuova “vita” social è già ripresa?

«Ho creato un nuovo account, Claudia Sarritzu Ghironi, aggiungendo anche il cognome di mia madre. Ho già ripreso il mio lavoro, anche se è triste essere passati da 32mila follower a molti meno. Ma vedo quanto accaduto come una nuova ripartenza. E mi fa enormemente piacere aver ricevuto davvero tanto affetto anche da persone che non conosco personalmente ma solo attraverso il mio lavoro e sui social. Mi dispiace solo essere stata censurata per aver fatto quello che, non solo come giornalista, ma come essere umano, dovremmo fare tutti quanti: attirare l’attenzione su un argomento così importante come quello dei fatti di Gaza».

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