Non lo fa per politica. Gianfranco Zola vuole dare una mano per rilanciare il calcio italiano, per rifondarlo dalla base.

Con umiltà barbaricina, ma anche con la stessa grinta che metteva in campo, supportato da una tecnica e da un talento che hanno fatto di lui il vero Magic Box del calcio mondiale, ha accettato senza tentennamenti l’invito ad affiancare, da vicepresidente in caso di elezione, il giornalista Matteo Marani alla guida della Lega Pro. Lui, che proprio dalla Serie C è emerso a 23 anni con la Torres, e che l’anno dopo già furoreggiava con il penultimo Napoli di Maradona, quello che vinse lo scudetto nel 1990.

 In A è arrivato tardi, in Premier tardissimo, ma al Chelsea si illuminano ancora solo a sentire nominare il nome del giocatore che poi, per realizzare un sogno, decise di chiudere la carriera con un’ultima impresa: portare il Cagliari dalla B alla Serie A, lasciandocelo. I ultimi suoi gol? Una doppietta alla Juve. Dopo le esperienze in panchina (con il Cagliari e da vice di Sarri al Chelsea, con la vittoria di una Europa League) e da commentatore televisivo, ora – con tutta la saggezza dei suoi  56 anni –  inizia la scalata alla carriera dirigenziale nel mondo cui ha dato tutto.

Zola, chi gliel’ha fatto fare?

«Mi sono candidato perché me lo ha chiesto un amico, Matteo Marani, persona capace, intelligente e perbene. Un amico, che può dare molto alla Serie C».

La Lega Pro attende riforme strutturali da anni. Sarete in grado di realizzarle?

«La C potrebbe essere una palestra eccezionale per i nostri giovani. Dobbiamo tornare ad essere bravi a far crescere i nostri nuovi talenti».

Il percorso è irto di ostacoli, non trova?

«Ci sono problemi di sicuro. Starà a noi individuarli e sviluppare idee innovative per far crescere il movimento. La Serie C deve ridiventare laboratorio e trampolino di lancio per i giovani. Faccio parte di un bel gruppo di lavoro, mi metto a disposizione con le mie competenze».

Vede possibile una collaborazione tra la Lega Pro e le Leghe maggiori, cioè B e A?

«La collaborazione tra le varie Leghe è fondamentale. Di più: è una necessità».

Che cosa ricorda della “sua” Serie C?

«Sicuramente i derby tra Cagliari e Torres. Io giocavo con i rossoblù sassaresi, con una squadra straordinaria che sfiorò la Serie B. Un’esperienza che conservo nel mio cuore, anche perché mi divertivo un mondo».

Torres e Olbia, secondo lei, possono ambire in prospettiva alla categoria superiore?

«Nell’anno del derby sardo di Serie C salì il Cagliari di Ranieri, che ho avuto come allenatore a Napoli e che ora è tornato nell’Isola dove tutto, per lui, era iniziato. Alla base di quello splendido exploit ci fu un grande lavoro, soprattutto sui giovani e sul settore giovanile. Io arrivai alla C2, con la Nuorese, dal dilettantismo, per l’esattezza dalla Corrasi. E poi andai in C1 alla Torres. I giovani devono essere la base di una ripartenza generale per il calcio italiano».

Il gol più bello che ha segnato in Serie C?

«Quello all’Entella, nell’anno in cui la Torres salì in C1 dalla C2. Anche perché fu decisivo, in una sfida al vertice».

Dopo l’esperienza alla Torres lei, di fatto, prese il posto di Maradona al Napoli. Come ha fatto, al di là del suo talento?

«Quell’anno Diego non era rientrato a Napoli e Careca arrivò in ritardo. Queste furono le situazioni che mi garantirono un po’ di spazio. Ma, se devo dare una risposta, ci sono riuscito grazie alla fortuna e a tanto lavoro».

© Riproduzione riservata