Danilo Piroddi aveva 9 anni, Gigi Riva era il suo idolo e gli ruppe un braccio. Non volontariamente, ovvio, ma una staffilata del centravanti che viaggiava a oltre 100 km orari lo centrò e gli procurò una doppia frattura.

Il bambino di ieri oggi è un adulto, e ricorda quei fatti col sorriso e un pizzico di commozione.

«Era il campionato successivo a quello dello scudetto, eravamo all’Acqua Acetosa dove il Cagliari si stava allenando prima di una partita con la Lazio. Mio padre, tifoso sfegatato del Cagliari, mi portò lì, scavalcammo uno steccato e io mi misi dietro a una porta. Poco dopo, una sua bordata mi prese in pieno. E chi se lo dimentica?».

Fu calcolato, sottolinea Piroddi, che il tiro di Riva viaggiava a 120 km orari: «Mi procurò una doppia frattura a un braccio, ulna e radio. Allora i palloni erano di cuoio, mica quelli di oggi, e se ti prendevano facevano male sul serio. Mi portarono al San Giacomo, l’ospedale in via del Corso, e lì mi ingessò il dottor Ziaco, medico sociale della Lazio».

Una foto recente di Danilo Piroddi (Archivio)
Una foto recente di Danilo Piroddi (Archivio)

Una foto recente di Danilo Piroddi (Archivio)

Se Riva gli autografò il gesso? «Sono balle – racconta ancora Piroddi – ma fu molto gentile con me, venne a trovarmi e gli sono ancora grato. Gli chiesi una sua maglia e un pallone, ma di quella numero 11 ne aveva solo una, all’epoca era così e non come oggi che le maglie le trovi anche in negozio. quindi non me la diede».

Ne è nato un rapporto durato fino a ieri: «Vivo in Sicilia – dice ancora Piroddi – ma siamo rimasti in contatto. Ci siamo sentiti, dovevo andare anche a Cagliari. Ma ora...».

«Per la sua morte – conclude Piroddi – ci sono rimasto malissimo. Ma in ogni caso Gigi rimane nel cuore, ed è quello che conta».

(Unioneonline)

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