A 75 anni, il tecnico oristanese Nino Cuccu ha deciso di chiudere una carriera straordinaria. Figura storica del calcio dilettantistico sardo,  lascia un segno indelebile. La sua non è stata soltanto una sequenza di campionati e panchine, ma un percorso costellato di riconoscimenti e momenti di prestigio. Nel 2003 ricevette il Premio Ussi  per tre campionati vinti in due anni; nel 2017 il Coni gli attribuì il riconoscimento “Una vita nello sport”; nel 2021 l’Aiac lo premiò per il contributo alla ricerca e allo sviluppo del calcio. Nel 2010 Luigi Roselli gli dedicò il libro “1000 panchine e più”, mentre Cuccu stesso ha saputo unire sport e musica con l’opera-canzone “Finirà”, trasformata in un evento benefico per Bitti dopo l’alluvione. 

Per quale ragione ha deciso di lasciare?

«Non esiste una ragione specifica. Il 31 dicembre  scade la mia licenza da allenatore e avevo già deciso di non rinnovarla. È stata una scelta sofferta, dopo 63 anni di attività sportiva iniziata a 12 anni. Ora sento la necessità di dedicare più tempo alla mia famiglia, agli amici e soprattutto alle mie splendide nipotine Mariasole e Liliana».

Che bilancio sente di poter tracciare?

«Non mi piace giudicare la mia carriera, credo spetti ad altri. Posso dire che quando iniziai nel 1978, a 28 anni, nel settore giovanile della Tirso Don Bosco, non avrei mai pensato di arrivare a questo punto: 40 campionati disputati in tutte le categorie dilettantistiche fino alla Serie D, oltre 1200 panchine e 16 società diverse. Per me è stato un grande sogno che è diventato realtà».

Lei non è  stato solo  allenatore di calcio...

«Ho iniziato a dare i primi calci al pallone nelle strade de "Su Brugu" ,  a 12 anni nella squadra parrocchiale della Don Bosco, poi nella Virtus e nella San Giorgio. Successivamente il prof. Adriano Loddo mi convinse a passare all’atletica leggera. Nel 1967  vinsi il titolo sardo studenteschi nel salto in lungo, poi il titolo sardo Fidal nel lungo e nel triplo, e quello interregionale a Roma, partecipando  al campionato italiano di Molfetta. Dopo una pausa tornai al calcio dilettantistico, fino alla Prima Categoria con la "Città di Oristano" e la Paulese centrando due promozioni. Ho chiuso la carriera da giocatore per un grave infortunio».

Tra le squadre che ha allenato , quali le sono rimaste  nel cuore, e chi fra  presidenti e giocatori?

«Ho sempre avuto ottimi rapporti ovunque. Tre società hanno segnato momenti indimenticabili: Tharros, Taloro e San Marco Cabras. Con i presidenti ho avuto legami speciali: Guido Annis mi avviò alla carriera da allenatore; Francesco Pinna mi volle alla Tharros; Mario Diana, con cui ho vinto di più (3 campionati e un titolo di vicecampione d’Italia); e Angelo Buttu, che mi diede la possibilità di vivere stagioni memorabili col Taloro Gavoi. Quanto ai giocatori, sono tantissimi: li abbraccio tutti idealmente e li ringrazio perché senza di loro questo sogno non si sarebbe realizzato».

Nella sua carriera anche  esperienze ti tecnico federale: quali  ricorda con maggior affetto?

«Allenare la rappresentativa della propria terra è sempre un’esperienza di orgoglio e responsabilità. Nel 1998 vissi un momento magico: arrivammo in finale al Torneo delle Regioni contro il Veneto, al “Renato Curi” di Perugia. Giocammo in inferiorità numerica per 45 minuti (9 contro 11) e perdemmo solo al decimo rigore. Conquistammo il titolo di vicecampioni d’Italia, il miglior risultato di sempre della nostra Juniores. È un ricordo che porto nel cuore».

Lei è stato,  allievo di grandi allenatori : Crovi, Mirtillo e Grillone. Cosa le hanno lasciato?

«Tre grandi conoscitori del calcio. Crovi mi ha trasmesso autorevolezza e professionalità; Mirtillo la meticolosità nel lavoro; Grillone la psicologia e la scaramanzia, inventava di tutto per motivare la squadra. Se devo citarne uno: Sergio Crovi».

Ha dei rimpianti?

«Sì, quello di aver dovuto rifiutare la chiamata di quattro società storiche e blasonate del calcio regionale – Thiesi e Alghero in Serie D, Nuorese e Macomer in Eccellenza – per motivi di lavoro e salute».

Ha ottenuto otto promozioni: quali le stanno più a cuore?

«Vincere non è mai facile. Quelle più esaltanti sono la doppia promozione della Tharros, dalla Prima Categoria all’Eccellenza in due anni (2001-2003); la vittoria del campionato di Promozione nel 2000 con il Taloro; e la conquista dell’Eccellenza nel 2014 con il Ghilarza, dopo una rimonta leggendaria che evitò la retrocessione l’anno precedente».

Per cosa vorrebbe essere ricordato?

«Ho sempre insegnato ai miei giocatori che alla fine della carriera è meglio essere ricordati per l’uomo che sei stato, e non solo per i risultati ottenuti».

© Riproduzione riservata