Fotografo, dj, web designer, appassionato di musica a visionario quanto basta per avventurarsi in progetti artistici fuori dagli schemi. Paolo "Angus" Carta ha 52 anni. Vive e lavora a Siniscola tra immagini, suoni e utopie. Spesso mescola grafica e fotografia creando percorsi insoliti e stravolgendo il concetto di ritratto e di paesaggio. Il tutto con uno spirito indipendente che comunque gli ha consentito di ottenere prestigiosi riconoscimenti sia come designer al Premio Web Italia (nel 2004, 2005, 2009 e 2012) sia come come fotografo.

Quando hai iniziato a fotografare?

"Ho iniziato a fotografare, col vero intento di farlo, a fine del 2003, subito dopo la morte di mio padre. Mi è venuto naturale, come fosse una sorta di sistema per metabolizzare la sua morte. Mi ha aiutato non poco: un metodo terapeutico per comprendere ed alleviare la sua mancanza".

Ricorda la prima fotografia?

"Non ricordo con precisione la prima fotografia, so per certo che le prime fotografie le ho scattate a Londra a fine 2003".

Che ruolo ha la fotografia nel suo lavoro di web designer?

"La fotografia è molto importante all'interno di una struttura web. Nella maggior parte dei casi si tratta, chiaramente, di fotografia commerciale, a volte di semplice contenuto; sta di fatto che è comunque importante aver delle buone immagini all'interno di un sito internet o di un canale social. La fotografia ha un ruolo basilare, per non dire fondamentale, in tal senso: se ti presenti con immagini brutte e/o non adeguate sicuramente non ti stai presentando al meglio, anzi".

La post-produzione è molto importante. Che programmi utilizza?

"La post-produzione è importante. Dipende da che tipo di fotografia si fa, cosa si vuole ottenere come risultato finale. Penso che non sempre sia importante post-produrre. E non sempre nelle mie fotografie ho operato dosi massicce di post-produzione. Comunque, quando ciò accade, uso quasi sempre Adobe Photoshop".

Passiamo ai progetti fotografici. Qual è stato il primo?

"Il primo in assoluto è stato "Brt_h (Breathe)". Si tratta di una serie di fotografie raccolte in unico quadro, cosa che mi succede spesso di fare. Ho scattato, lasciato decantare, e quindi operato sulle fotografie con segni grafici neri molto netti e forti. Recita il sottotitolo: "Nove sospiri verso il nulla". Si tratta di paesaggi che ho volutamente "coperto" con segni neri. E' ironico. E' un quadro fatto per prendermi in giro: non amo il caldo e la luce molto forte, il sole in genere. Così ho coperto tutta questa luce e il caldo. Una sorta di protezione".

Come nasce il progetto "La lontananza nostalgica utopica futura".

"Nasce ispirato dall'opera medesima del Maestro Luigi Nono. E' un progetto che mi ha occupato molto tempo, e che ho diviso in due parti distinte. Ho scattato tutte le fotografie con iPhone grazie a un'app: Hipstamatic. Nella prima parte ho lavorato pochissimo in post-produzione. Questa è composta di paesaggi (per come li intendo io) della Sardegna - vivo in Sardegna, quindi scatto principalmente in Sardegna - ma che potrebbero esser ovunque. La seconda parte trattasi di ritratti. Ho scelto nove personaggi (amici) del mondo della cultura e dell'arte e li ho fotografati lavorando poi di sovrapposizione in studio. Volevo realizzare un'opera sulla vita. La terra e le persone che hanno fatto e fanno qualcosa per questa terra (qualsiasi essa sia). La desolazione dei paesaggi, il vuoto culturale. Tutto questo può esser cambiato, in meglio, dalle persone che operano nel mondo dell'arte e della cultura".

Che valore attribuisci al mezzo?

"Sinceramente, ho fatto fotografie con qualsiasi camera. Sono arrivato a capire, a mio modestissimo parere, che il mezzo non è mai fondamentale quanto il progetto; il mezzo deve esser solo di supporto a ciò che si vuole fotografare, al motivo del progetto e delle fotografie: al servizio di ciò che si vuole comunicare. A seconda del risultato che si vuole ottenere si sceglie il mezzo. Punto. Negli ultimi anni ho fatto tanto solo e semplicemente con il mio iPhone, e sono rimasto soddisfatto della riuscita delle fotografie e del progetto. Dipende da ciò che si vuole ottenere e il risultato che si vuole raggiungere. Il mezzo è tecnica: si impara. Tutto il resto no, la passione e il cuore no".

Quali sono i tuoi riferimenti nel campo del design sul web?

"Sono vecchio. Non ho moltissimi riferimenti sul web nel senso che faccio ancora le mie ricerche principalmente sui libri. Poi i social media aiutano per confrontarsi sulle tendenze contemporanee (in questo periodo storico Pinterest e Instagram soprattutto), ma normalmente i miei studi continuo a farli su testi specifici, albi e raccolte, e molte monografie".

Chi sono i suoi fotografi preferiti?

"Le mie preferenze sono molto legate all'avanguardia russa (Aleksander Rodchenko su tutti), il costruttivismo, il movimento Bauhaus. Amo particolarmente il minimalismo e i pittori Ad Reinhardt e Gerhard Richter. Ma anche il cinema, Stanley Kubrick e Peter Greenaway su tutti".

Come nasce un suo progetto fotografico?

"Quasi sempre la prima ispirazione viene dalla musica, di cui sono molto appassionato. Prima di iniziare a scattare scrivo solitamente tanto sul progetto che ho in testa. E' un'opera intima e personale più che altro: un lavoro terapeutico e propedeutico sulla mia persona.

Il processo e il metodo assume quasi la stessa importanza del risultato che voglio ottenere. Dopo aver fotografato faccio passare sempre del tempo prima di riguardare quanto scattato, e dargli la giusta collocazione; è un procedimento molto mentale. L'esperienza ha portato a capire quando la foto va bene, quando il progetto è veramente finito".

Che rapporto ha con la fotografia musicale?

"Grazie all'attività di mio fratello Fabio (prima Kuntra, ora MIS e Bianca dischi), per tanti anni ho seguito i concerti da lui organizzati (e non solo i suoi) come fotografo. Sopra e sotto il palco, con i musicisti - e anche in mezzo al pubblico - mi son sempre trovato piuttosto bene. Dal 2010 ho fatto sempre meno attività fotografica concertistica (una mia mostra di quel periodo, denominata "5 anni del mio respiro", racconta un po' di questi concerti e gli scatti relativi ad una serie di concerti fotografati nello scorso decennio)".

Qual è la sua opinione sulla fotografia contemporanea, sul fatto che "siamo tutti fotografi"… "Siamo sommersi di immagini e di fotografie. Non di fotografi. Facciamo fotografie, non siamo tutti fotografi, tutt'altro. Fare fotografie non significa esser fotografo. La fotografia è altro; è molto oltre far semplicemente fotografie. Avere una fotocamera (qualsiasi essa sia) e scattare non significa essere fotografo. Io stesso ho molti dubbi di esser veramente un fotografo".

Salvatore Ligios dice che la fotografia in Sardegna è materia poco attraente.

"Ho stima e sono abbastanza d'accordo con Ligios, e vorrei aggiungere: in Sardegna soprattutto è cultura generalizzata che la fotografia non sia arte principale, per non dire addirittura essa sia considerata minore. Convinzione, secondo il mio parere, completamente sbagliata".

A che progetto fotografico sta lavorando in questo momento? "

Sto preparando un progetto che si chiamerà "Disappear". Probabilmente vedrà la luce nel corso dei prossimi giorni - sui miei canali social innanzitutto, prima di venir stampato e poter fare magari una mostra, chissà quando e dove. E' un progetto, come recita il titolo, sulla scomparsa. In troppe occasioni diamo sempre più per scontate molte "cose" che ci circondano, quasi fossero immutabili e immortali. In altrettante occasioni succede poi che ci accorgiamo di queste "cose" quando esse si dissolvono, oppure scompaiono del tutto. Fermarsi, o perlomeno rallentare, non è un errore; almeno per accorgerci che siamo vivi, che qualcosa intorno a noi è in movimento, cresce, si sviluppa e muta… in continuazione. Che non tutto ci è dovuto, anzi. E che l'unica cosa certa della nostra vita è la morte, quindi finché siamo in vita meglio tentar di godere più possibile di quanto abbiamo, e viverlo appieno prima che questo (qualsiasi "cosa" essa sia) scompaia".
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