Tra i fenomeni televisivi più interessanti del momento, “Monster: La storia di Ed Gein” ha saputo rapidamente ritagliarsi un meritato spazio. Terzo capitolo delle serie antologica Netflix ispirata ai più inquietanti casi di omicidi e serial killer - dopo aver esplorato la personalità complessa di Jeffrey Dahmer, il “Cannibale di Milwaukee”, e gli oscuri retroscena dietro l’omicidio dei genitori di Erik e Lyle Menendez - stavolta si indaga più a fondo la figura di Ed Gein, noto anche come il “Macellaio di Plainfield”. Un soggetto riconosciuto per crimini di squartamento e necrofilia, tanto da aver ispirato pellicole iconiche come “Non aprite quella porta” e “Il silenzio degli innocenti”.

Con protagonista Charlie Hunnam - ricordato soprattutto per le collaborazioni coi registi Guillermo Del Toro e Guy Ritchie, ma anche per la serie TV “Sons of Anarchy” - lo show ha debuttato sul piccolo schermo il 3 ottobre, registrando fin dal primo giorno - secondo i dati forniti da Variety - un numero di visualizzazioni pari a 12,2 milioni. Un risultato in linea con quelli delle stagioni precedenti, che ha portato il titolo nella top 10 di Netflix dopo appena tre giorni.

Nonostante l’ottimo riscontro del pubblico, la critica non sembra aver accolto la serie con lo stesso entusiasmo: su Rotten Tomatoes, infatti, il punteggio medio si ferma a un deludente 20% di recensioni positive. Pur a fronte delle accese stroncature di alcuni, molti concordano sull’eccellente lavoro computo da Hunnam, tanto da porlo in cima fra i possibili candidati alla prossima stagione dei premi televisivi. L’attore, consapevole della delicatezza del ruolo, ha confessato in un’intervista a Entertainment Weekly di aver temuto che l’esperienza potesse compromettere la sua carriera: «Una volta detto sì, ho pensato di aver commesso un terribile errore. Ho iniziato a documentarmi, leggendo tutti i libri su Ed Gein, e sono caduto nel panico totale. Ho pensato che forse non sarei più riuscito a uscirne. È un ruolo così oscuro, davvero difficile da abitare come personaggio».

A tranquillizzarlo è stata la scoperta dell’alto livello della sceneggiatura, come ha spiegato: «C'è stata una sorta di svolta quando ho cominciato a leggere i copioni e ho capito che non ci saremmo concentrati tanto su ciò che aveva fatto, scavando nei dettagli, ma piuttosto sul perché l'avesse fatto, cercando di scoprire l'essere umano dietro il mostro».

Cercare una propria verità all’interno della biografia di Gein è stato, per Hunnam, il punto di svolta per affrontare il personaggio da un punto di vista umano, senza esserne sopraffatto: «C'è come un filo umano che collega tutto questo. Ti rendi conto che quella persona ha preso una strada terribile come conseguenza o reazione a qualcosa che ha vissuto, ma riesci comunque a capire cosa ha provato e in che modo si è sentita. Da lì ho cercato di costruire il personaggio, di renderlo umano, e onestamente di non giudicarlo. Ma allo stesso tempo dovevo stare attento a non provare troppa empatia per lui, è stato davvero come camminare su un filo sottile».

Tornando ai commenti sulla serie, c’è chi sostiene che si indugi eccessivamente sulle scene più truculente, mentre altri mettono in dubbio l’attendibilità dei fatti narrati. Su questo punto è intervenuto il regista Osgood Perkins: rivelazione del genere horror con “Longlegs” e “The Monkey”, nonché primogenito dell’attore Anthony Perkins, il leggendario Norman Bates di “Psycho”, capolavoro di Alfred Hitchcock.

Proprio in merito alla rappresentazione di suo padre negli episodi, il director - intervistato da TMZ - non ha risparmiato critiche, esprimendo preoccupazione per il modo in cui, in operazioni di questo tipo, viene spesso “riformulata la realtà”.

In particolare, ha definito inesatto il ritratto secondo cui Antony Perkins, interpretato nello show da Joey Pollari, avrebbe vissuto un rapporto conflittuale con l’ambiente dello spettacolo a causa della sua omosessualità latente. Oltre a denunciare le eccessive libertà creative degli autori, Oz Perkins ha definito le serie true-crime di oggi una sorta di “accozzaglia di contenuti glamour e significativi”, manifestando inquietudine per il fatto che la veridicità dei fatti dipenda dalle scelte di chi detiene il potere narrativo.

Ci si augura, dunque, che in futuro venga posta maggiore attenzione ai contenuti reali da cui le serie traggono ispirazione, considerando quanto ciò possa influire - a lavoro ultimato - non solo sulla percezione del pubblico, ma anche sul risultato artistico.

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