Ethan Hawke torna a brillare in “Blue Moon”
E ricorda gli insegnamenti ricevuti da Robin Williams: «Non chiedeva mai il permesso di cambiare la sceneggiatura»Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Da giovane promessa del cinema a star conclamata, Ethan Hawke ha visto consolidarsi davanti a sé una carriera in costante ascesa. Rimasto impresso agli occhi del pubblico già ai tempi de “L’attimo fuggente” - pellicola immortale di Peter Weir con un irraggiungibile Robin Williams - da allora ha saputo, a ogni nuova apparizione, ritagliarsi sempre maggiore visibilità, armato del suo inconfondibile fascino da bravo ragazzo e, soprattutto, dell’abilità di spaziare con disinvoltura tra generi differenti.
Il merito del suo riconoscimento internazionale va senz’altro attribuito anche alle varie candidature agli Oscar: da quella per il miglior attore non protagonista in “Training Day” a quella per lo stesso ruolo in “Boyhood”, senza dimenticare la nomination per “Before Sunset” alla miglior sceneggiatura non originale. Le sue collaborazioni sui set vantano nomi significativi, tra cui Robert Redford, Paul Schrader e Alfonso Cuarón, e nell’ultimo decennio la lista s’è fatta ancora più ampia, includendo il maestro giapponese Hirokazu Kore’eda e il cineasta di comprovato talento Robert Eggers.
Tra le partnership più durature e fruttuose nel tempo spicca senza dubbio quella coltivata con il regista Richard Linklater. Giunti al loro nono film, si appresta a debuttare nelle sale italiane “Blue Moon”: biopic ispirato alla vita del paroliere e librettista statunitense Lorenz Hart, ricordato anche come autore di musical e di standard jazz, tra cui il brano omonimo che dà il titolo alla pellicola. Ricostruendo in particolare gli eventi legati alla sera del 13 marzo 1943, data di debutto del musical “Oklahoma!”, assisteremo in questo toccante adattamento agli ultimi giorni di vita dello straordinario compositore. Il film si distingue per quel tocco artistico ormai rappresentativo del duo, fondato sulla ricerca di idee fresche e costruttive, più che sul guadagno fine a sé stesso.
In occasione dell’anteprima all’ultima edizione del Festival internazionale del Cinema di Berlino, e a favore di uno scambio aperto tra artisti e pubblico, oltre che nel desiderio di promuovere un certo tipo di “arte offensiva”, Hawke ha dichiarato durante la conferenza stampa: «Per avere un'arte offensiva in modo grandioso, gli spettatori devono essere interessati. Non hanno buoni risultati ai box office. Voi, la comunità, deve renderla importante. Per poter permettere che ci sia un posto nella nostra conversazione per l'arte offensiva, deve essere presa in considerazione. Quando diamo priorità ai soldi a tutti i costi, quello che otteniamo è un'arte generica che attira la maggior parte delle persone. Si tratta di una danza che facciamo tutti insieme. Se amate l'arte offensiva, dovete chiederla perché le persone sono convinte che quei film non guadagnino nulla».
Ricordando invece i pilastri che hanno dato un apporto prezioso alla sua crescita attoriale, Hawke non ha potuto esimersi dal menzionare il leggendario Robin Williams. Nella sua ultima intervista per Vanity Fair, la star ricorda il compianto attore nei panni di John Keating, il carismatico professore d’inglese protagonista de “L’attimo fuggente”. Indimenticabile per il suo modo unico d’instaurare un rapporto con gli studenti, Williams ha costruito il personaggio sull’importanza della fiducia reciproca e sulla libera espressività, lontana da ogni sterile imposizione o mentalità retrograda.
Apprendendo uno stile di lavoro che, da quel momento, non avrebbe mai più abbandonato, Hawke ha commentato: «La recitazione drammatica era ancora una novità per Robin all'epoca. E osservare quella relazione, in quella stanza, ero a un metro di distanza mentre parlavano di recitazione, è stato qualcosa che non dimentichi più».
Svelando qualche dettaglio ulteriore sul metodo adottato da Williams, a dir poco innovativo per l’epoca, ha aggiunto: «Robin Williams non seguiva alla lettera la sceneggiatura, e io non sapevo che si potesse fare. Se gli veniva un'idea, la faceva. Non chiedeva il permesso. E quella è stata una nuova porta che si è aperta nella mia mente, che si poteva giocare in quel modo. E a Peter piaceva, finché riuscivamo comunque a raggiungere gli obiettivi della sceneggiatura: avevano modi di lavorare molto diversi, ma non si giudicavano né si opponevano l'uno all'altro. Collaboravano. Ed è lì che nasce l'emozione, quando capisci cosa può fare una grande collaborazione».
