La Sardegna vista dall’Argentina ha il sapore del passato, dei ricordi, della famiglia di origine, di una terra che – seppur lontana – è presente in tutti i discorsi degli emigrati e dei loro figli e nipoti. Come Margarita (per tutti Marga), nata a Moron, in provincia di Buenos Aires, 63 anni fa.

Suo padre era Cosimo Tavera, classe 1924, partito da Ittiri, si dice con la classica valigia di cartone, in cerca di fortuna. A differenza di altri emigrati, Cosimo aveva già in tasca un contratto di lavoro per due anni. Pensava di tornare alla scadenza, ma alla fine è rimasto in Argentina.

Parlava solo il sardo, poco l’italiano. E dopo oltre 60 anni di emigrazione la sua lingua dominante era lo spagnolo.

Inizia come muratore con la ditta Casiraghi, un’azienda milanese che l’aveva portato in Argentina, ma ha stoffa e carattere da vendere e in qualche anno diventa un imprenditore. Il lavoro lo assorbe quasi totalmente eppure trova il tempo per andare a cercare alcuni conterranei e il circolo sardo, all’epoca guidato da Fausto Falchi. Nel 1970 Cosimo gli succede e diventa presidente dell’“Associazione Sardi Uniti”, attiva dal 1936 (l’emigrazione dalla Sardegna era stata molto consistente negli anni Venti). E nel 1989 presidente dell’allora Lega Sarda, poi diventata Federazione dei circoli sardi in Argentina, e Consultore per l’emigrazione per la Regione Sardegna.

Anche Marga frequenta la sede fin da bambina: «Mio padre mi portava sempre lì, e negli anni ho visto con i miei occhi il grande lavoro che hanno fatto, quello che anche io oggi continuo a portare avanti: far conoscere la Sardegna, spiegare agli argentini la sua storia incredibile, mostrare loro le bellezze dell’Isola, le tradizioni».

Ma non è tutto qui, perché c’è un viaggio che cambierà la vita di Marga e che lei ricorda come fosse oggi: «È il 1980, mio padre mi regala un biglietto per andare a Ittiri, vuole che conosca il luogo in cui è nato, quello di cui parla con tanta nostalgia. Arrivo ad Alghero e trovo tantissime persone all’aeroporto. Allora penso: dev’esserci qualcuno di importante, un politico, un rappresentante internazionale, un attore, un cantante. E invece sono tutte lì per me, c’è praticamente tutto il paese. Io tremo dall’emozione, ho le lacrime agli occhi. Resto due mesi in Sardegna, conosco zii, cugini, nipoti, parenti alla lontana. E vedo quel mondo meraviglioso».

Da lì in avanti niente sarà più come prima.

«Esatto. La mia vita è cambiata: da quel momento è stato tutto un prima e un dopo. Sono tornata a Buenos Aires che mi sentivo una sarda nata in Argentina. È stato un viaggio che mi ha profondamente segnato».

Anche l’impegno nel mondo dell’emigrazione organizzata è cambiato?

«È stato sempre più intenso. Pian piano mi sono inserita non solo più attivamente nel circolo sardo ma poi anche nel consiglio direttivo fin dal 1996. Nel 2009 sono diventata invece presidente della federazione argentina, e sin dal 2020, consultrice per l’emigrazione per la Regione Sardegna».

Quante sono oggi le associazioni aderenti?

«Adesso ci sono 8 circoli, con problemi più o meno comuni».

Quali?

«Tutto parte dalla questione economica, dalle politiche che l’Argentina porta avanti. Se vuoi avere un futuro e sei giovane devi studiare. E questo vale ovunque. In Argentina non basta: devi anche lavorare contemporaneamente. Ed è questo uno dei motivi per cui i ragazzi frequentano poco le associazioni: dove lo trovano il tempo? Magari collaborano nelle attività più importanti ma non sono attori protagonisti. Ovviamente ci sono sempre le eccezioni».

Chi sono i vostri soci?

«Tantissimi sono figli di emigrati e nipoti, anche loro come me hanno ereditato questo amore per la Sardegna. Le ultime ondate migratorie sarde in Argentina risalgono al dopoguerra. Oggi contiamo circa 1.500 persone soltanto a Buenos Aires».

Ogni circolo ha una peculiarità?

«Certamente, ognuno promuove la Sardegna ma in modo diverso. Anche se tutti i circoli fanno conoscere l’Isola in tutte le loro manifestazioni, conferenze ed eventi. Il circolo di Rosario ad esempio ha un gruppo folk formato da figli e nipoti di sardi. A Tucuman hanno una scuola che adotta un particolare metodo di insegnamento oltre a tramandare qualche canzone in sardo ai bambini. Insieme alla parte educativa c’è anche tutta la storia e la tradizione della Sardegna. A Mar del Plata organizzano importanti concorsi di letteratura con le scuole del posto sul tema Sardegna ma in spagnolo. A Villa Bosch sono molto ben inseriti nel contesto locale e collaborano con il Comune in varie iniziative. A La Plata hanno un laboratorio linguistico in collaborazione con il circolo “Su Nuraghe” di Biella, leggono poesie in sardo, piemontese e spagnolo. A San Isidro c’è un gruppo teatrale e mettono in scena rappresentazioni di favole sarde, poi ci sono le mostre di pittori sardo-argentini e altre manifestazioni durante l’anno».

E l’ultimo nato, quello della Patagonia?

«Loro sono stati riconosciuti da poco, è una bellissima realtà anche quella. La presidente è Marianela Fava Signorini, da anni promuovono l’immagine della Sardegna nell’estremo sud del mondo».

A Buenos Aires invece?

«Partecipiamo sempre a un evento molto importante organizzato dalla città autonoma di Buenos Aires e dal consolato italiano: “Buenos Aires celebra Italia”. Ogni regione presenta le proprie tipicità: prodotti, artigianato e gruppi folk. Buenos Aires organizza uno stand così come Villa Bosch. Riproduciamo le più famose ricette sarde ma con prodotti locali, quelli dell’Isola ovviamente qui non li abbiamo. Però il risultato è apprezzabile, possiamo dire di avere sempre un grande successo. Oltre alla gastronomia, si presenta lo stand di artigianato sardo (di proprietà del circolo) e dépliant sulla Sardegna. E non manca mai il Gruppo Folk Sa Sardinia di Rosario. L’appuntamento 2023 è per oggi, 11 giugno, ed è il primo dopo la pandemia, ovviamente è attesissimo».

Un'edizione di "Buenos Aires celebra Italia" (foto concessa)
Un'edizione di "Buenos Aires celebra Italia" (foto concessa)
Un'edizione di "Buenos Aires celebra Italia" (foto concessa)

Essere sardi in Argentina, non facile.

«Per niente. A me, a tutti noi, brillano gli occhi quando parliamo della Sardegna. E cerchiamo di farla conoscere in tutta l’Argentina, e lo facciamo in spagnolo, anche perché l’idea è quella di divulgare la cultura dell’Isola in favore degli argentini. È che siamo lontanissimi, siamo sardi che arrivano dalla fine del mondo, letteralmente, per citare con affetto le parole di Papa Francesco. Solo quando dall’Isola vengono qui si rendono conto di quale siano la distanza e i costi per raggiungerla. Ma è un valore grande quello degli emigrati all’estero, una ricchezza che poche altre regioni possono vantare».

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