«Mio fratello aveva dei valori importanti, che lo hanno sempre contraddistinto in campo. La lealtà sportiva, in primis, e poi la battaglia contro i comportamenti razzisti». Carmelo Imbriani, ex calciatore, è morto a 37 anni a causa di una forma di leucemia, suo fratello Gianpaolo nel 2013 ha fondato un’associazione, “Imbriani non mollare”, proprio per continuare a diffondere i principi di Carmelo.

Gianpaolo Imbriani con Gianfranco Zola (foto concessa)
Gianpaolo Imbriani con Gianfranco Zola (foto concessa)
Gianpaolo Imbriani con Gianfranco Zola (foto concessa)

Il suo obiettivo è quello di raccontare questa storia e lo fa girando il mondo. Tutto parte dal calcio: «Nel 2013 le tifoserie, da nord a sud, si sono unite sotto un unico striscione, “Imbriani non mollare”, per un giocatore che stava già male, non poteva vantare nessun trofeo ma che, evidentemente, aveva lasciato un segno come uomo», spiega Gianpaolo. «Ho viaggiato tanto, ho calcolato 12 giri intorno al mondo percorsi in autostop, bus, treno, nave, bicicletta e moto, sempre con la bandiera dei Quattro mori attaccata al mio zaino per mostrare, a chi mi vede passare, l’amore per quest’Isola che ai miei occhi è la più bella in assoluto. Tante sono state le notti passate a casa delle famiglie che mi hanno ospitato. Poi, per il coronavirus, ho dovuto fermare il contachilometri». Durante il lockdown ha racchiuso in un libro il suo più grande sogno: «Quello di vedere realizzati 5 campi da calcio, uno per ogni continente, dedicati a Carmelo. Ad oggi ci sono già quelli di Benevento e di Itigi, in Africa. Sto lavorando per quello a Salta, Argentina».

Una tappa del viaggio (foto concessa)
Una tappa del viaggio (foto concessa)
Una tappa del viaggio (foto concessa)

Ripreso il viaggio, Gianpaolo è stato di recente negli Stati Uniti. A New York ha incontrato i soci del Cagliari Club di Pietro Porcella: «A lui ho consegnato la maglia del Benevento di quando mio fratello allenava».

Gianpaolo è nato 43 anni fa a San Giovanni di Ceppaloni (Benevento), e si è innamorato della Sardegna proprio grazie a suo fratello: «Mi prometteva sempre un gran bel viaggio se mi avessero promosso a scuola e l’anno del diploma finalmente siamo partiti. Destinazione Sardegna. Da allora, nonostante io abbia visto davvero tanti luoghi in ogni angolo del pianeta, non ho trovato nulla di più bello. Vorrei tanto che i sardi capissero fino in fondo la grande fortuna che hanno».

E sullo zaino non ci sono solo i Quattro mori: «Anche una maschera dei Mamuthones e altri simboli della Sardegna, per me sono importanti».

Lo zaino con la maschera dei Mamuthones (foto concessa)
Lo zaino con la maschera dei Mamuthones (foto concessa)
Lo zaino con la maschera dei Mamuthones (foto concessa)

A portargli via suo fratello è stato un linfoma di Hodgkin: «Aveva scoperto di essere malato mentre era in ritiro col Benevento, che all’epoca allenava. Aveva sempre la febbre alta ma i medici non hanno capito subito la causa. Solo una volta a Perugia è arrivata la diagnosi, sette mesi dopo è sopraggiunta la morte».

Erano trascorse poche settimane quando Gianpaolo è stato invitato in Campidoglio a Roma per ritirare un premio dedicato a Carmelo: «Dopo la cerimonia non volevo tornare a casa, sono salito in macchina con alcuni amici diretti a Trieste, sulle spalle lo zaino che mi aveva regalato mio fratello, con la bandiera sarda. Mi sono fatto lasciare al confine, che ho attraversato a piedi, per raggiungere una stazione ma mi sono reso conto che era tardi, e allora ho allungato un braccio per fare l’autostop. In quel momento ho avuto la sensazione che qualcuno mi stesse toccando quel braccio, mio fratello era morto da un mese, insomma mi ero convinto che fosse stato lui. Razionalmente poi ho capito che si era trattato di una folata di vento che aveva spinto un laccetto dello zaino. Fatto sta che una macchina si era fermata. E mi aveva dato un passaggio. Ho realizzato in quella fase che in quella stagione non avevo lavorato per stare accanto a Carmelo, e in tasca non avevo una grossa somma. L’autostop mi avrebbe permesso di viaggiare e di raccontare la nostra storia, mostrando le foto delle tante manifestazioni d’affetto per mio fratello».

A sinistra Carmelo Imbriani in campo (foto concessa)
A sinistra Carmelo Imbriani in campo (foto concessa)
A sinistra Carmelo Imbriani in campo (foto concessa)

Fra i suoi pensieri c’è una frase di un famoso film, “Big Fish”: “A furia di raccontare le sue storie, un uomo diventa quelle storie. Esse continuano a vivere dopo di lui, e così egli diventa immortale”. «Queste parole riprendono un po’ la promessa che ho fatto a Carmelo in ospedale, quando mi chiedeva “Chi si occuperà dei miei figli?”. I miei nipoti avevano una due anni e l’altro cinque mesi. Il loro padre non morirà mai, perché continuerò a raccontare di lui a tutti».

Questa sera, alle 19, al “Cagliari Club Pavoletti” di via della Pineta a Cagliari, Gianpaolo ha presentato “La storia di una promessa”, una proiezione di immagini per spiegare il suo ambizioso progetto. «I miei primi 70mila km di viaggio, ma prima ho raccontato di mio fratello. Con me Marco Mancosu e Pietro Porcella, sono stati loro il mio “aggancio” per essere oggi in questa bellissima città». 

© Riproduzione riservata