Cinquant’anni nel mondo dell’emigrazione, un impegno che lo ha coinvolto partendo dalla base fino a diventare vice presidente vicario della Consulta per l’emigrazione della Regione Sardegna. “Tutto volontariato”, precisa Domenico Scala, classe 1947 e originario di Alghero, che a Zurigo è arrivato subito dopo il diploma come disegnatore progettista e in Svizzera è rimasto tuttora, anche dopo la pensione.

Chi ha lasciato la Sardegna negli anni Settanta come lui era alla ricerca di un lavoro, di un’opportunità, di un futuro fatto di soddisfazioni e, come tanti sardi, inizialmente ha cercato i corregionali presenti in città. Il circolo di Zurigo già esisteva, essendo nato nel 1968, ed è lì che Scala è stato introdotto dal presidente dell’epoca, arrivato da Dolianova: “Ci sono andato per il piacere di incontrare tanti altri sardi – spiega a L’Unione Sarda – Poi si sono accorti che, per così dire, ‘promettevo bene’. Il motivo è presto detto: in occasione di una visita da parte dell’assessore regionale all’Agricoltura, mentre tutti erano in soggezione e non parlavano, io ho chiesto la parola per un mio intervento”. Sarà stato il suo linguaggio forbito, o la sua parlantina senza fronzoli, o ancora la sua schiettezza, fatto sta che nel 1975 è stato nominato come delegato per partecipare al consiglio nazionale della Federazione dei circoli sardi in Svizzera ed è stato eletto segretario “che si può dire allora contasse più del presidente”. Un ruolo di primo piano, insomma, e in pochi anni è arrivato al vertice: la presidenza.

Cosa facevano i circoli in quegli anni?

“Si lavorava molto, ero contento. C’erano varie attività, devo dire principalmente su base politica ma non solo. Ad esempio rivendicavamo le colonie libere per tutti i bambini, il diritto alla scuola per i figli degli stranieri, e già allora si batteva il tasto sul problema dei trasporti verso la Sardegna, con le richieste di biglietti a buon prezzo. Le associazioni in Svizzera sono cresciute numericamente, quelle storiche oltre a Zurigo erano Baden, Schaffhausen, Ginevra, Losanna, Liestal e Basilea”.

Domenico Scala, originario di Alghero, vive a Zurigo (foto concessa)
Domenico Scala, originario di Alghero, vive a Zurigo (foto concessa)
Domenico Scala, originario di Alghero, vive a Zurigo (foto concessa)

E cosa dicevano gli svizzeri dei sardi?

“Eravamo molto stimati. Conosciuti come grandi lavoratori, educati e di buon carattere. Tra noi ci aiutavamo a vicenda, soprattutto verso chi era appena arrivato. Negli anni gli emigrati hanno investito molto sui loro figli, oggi sono tutti ragazzi che occupano posti di grande prestigio, a loro è stato trasmesso l’amore per la Sardegna e non solo i nostri valori di sempre come l’onestà e la serietà. Il nostro impegno era per tutti i sardi, anche quelli che, raggiunta la pensione, desideravano tornare nell’Isola, affinché potessero ricevere un contributo della Regione, o le famiglie di quelli che venivano a mancare per il disbrigo delle pratiche sul trasporto delle salme”.

Poi il ruolo dei circoli è un po’ cambiato.

“In Svizzera e in Europa e Oltreoceano sì, una volta lasciato alle spalle il sentimento di rabbia per ‘essere stati costretti’ ad andare all’estero, era un rimprovero nei confronti della classe politica di allora”.

E le feste?

“C’erano sempre, naturalmente, ma non solo folk. Ad esempio non tutti i nostri corregionali sapevano chi fossero Eleonora d’Arborea o Grazia Deledda, erano curiosi di approfondire certe figure storiche, per questo si organizzavano convegni, conferenze, la musica era una vetrina”.

Niente più politica?

“Quella l’abbiamo dovuta seguire per forza, non dimentichiamoci che abbiamo dovuto affrontare un paio di referendum contro gli stranieri. In Svizzera le regole sono molto severe: se non hai il passaporto elvetico non puoi votare. Io non l’ho mai preso”.

Vendevate prodotti sardi?

“I prodotti sardi, lo dico da allora e lo ripeto adesso, vengono pubblicizzati non vendendoli nei circoli ma facendoli conoscere agli amici. Si trovano ovunque nei supermercati e sono anche di ottima qualità. Cosa dovremmo fare? Metterci in concorrenza con le attività commerciali del posto? Nei circoli non si devono far entrare l’interesse e il commercio”.

Servizio bar?

“Assolutamente no. C’è solo al circolo di Ginevra. A Zurigo abbiamo un frigorifero se qualcuno vuole una bottiglietta d’acqua. E non si gioca a carte. La sede è aperta il giovedì, poi noi del direttivo ci incontriamo ogni 15 giorni, ma per informazioni o altro siamo sempre disponibili, basta una telefonata o una mail”.

Domenico Scala, classe 1947, da 50 anni nel mondo dell'emigrazione sarda (foto concessa)
Domenico Scala, classe 1947, da 50 anni nel mondo dell'emigrazione sarda (foto concessa)
Domenico Scala, classe 1947, da 50 anni nel mondo dell'emigrazione sarda (foto concessa)

Che rapporti ci sono tra le associazioni all’estero e quelle italiane?

“Una forte rottura. L’emigrazione fuori dall’Italia è una cosa, quella all’interno della stessa nazione un’altra. Non si possono mettere sullo stesso piano perché, come è ovvio, chi va all’estero deve fronteggiare problemi anche pratici di grande rilevanza: trovare lavoro, una sistemazione, conoscere le leggi, la burocrazia. E poi c’è la barriera linguistica. Qualcuno vuole farmi credere che chi resta in Italia ha le stesse difficoltà? Ma non è solo questo”.

Cos’altro?

“La differenza di trattamento che ci riserva la Regione, che poco sa del mondo dell’emigrazione fuori dall’Italia. Riceviamo una sfilza di circolari in burocratese, mai una volta che qualcuno abbia pensato di organizzare un incontro per spiegarci quanto ci fosse scritto: bisogna ricordare che in molte realtà i circoli sono diretti da sardi di seconda generazione che parlano l’italiano ma spesso non è la loro prima lingua. Un confronto sarebbe molto più utile, così come l’approfondimento di chi siamo noi che viviamo in altri Stati, i veri ambasciatori della Sardegna”.

La burocrazia è un grande limite.

“Faccio un esempio: la pec, la posta elettronica certificata. Una cosa che esiste solo in Italia, all’estero non sappiamo neanche cosa sia”.

Per quanto riguarda i contributi che ricevete dalla Regione?

“Una parte è legata al numero dei soci. Dal trenta per cento abbiamo chiesto che passasse al 20, alla fine abbiamo ottenuto un 25 per cento. Se in Italia esistono oltre 70 circoli, e sostengono di contare su 30mila associati, è ovvio che prendano loro la ‘fetta più grande della torta’. Invece in Svizzera ci sono realtà con 100 soci e fanno tantissime attività. Ma la penso così: una volta che un’associazione viene ufficialmente riconosciuta deve avere parità di trattamento rispetto alle altre”.

E non accade.

“Non viene riservata una omogeneità di attenzione per un nuovo circolo aperto nella Penisola con un altro circolo che viene inaugurato in un’altra città europea. Chiediamoci il perché i circoli in Italia crescono numericamente mentre boccheggiano o chiudono nel resto d’Europa e del mondo. Per esempio in Svizzera sono attualmente attivi i circoli di Zurigo, Bodio, Ginevra, Losanna e Lucerna, erano 12”.

Avrete dei punti in comune, ad esempio la questione dei biglietti per la Sardegna?

“Storia antica, io sono stato uno dei fautori della necessità di garantire ai sardi qualche agevolazione. Ma se la legge 7/91, quella regionale incentrata sul mondo dell’emigrazione, stabilisce che destinatari siano anche i figli degli emigrati, poi dobbiamo fare i conti con le compagnie che invece questo principio non lo rispettano. Per evitare equivoci sull’incremento del turismo italiano verso la Sardegna, la Regione dovrebbe a maggior ragione consentire facilitazioni e sconti per coloro che hanno la tessera di un circolo attivo di qualsiasi altra parte d’Europa e del mondo. Solo in questo modo ci può essere una parità di trattamento nei confronti dei sardi che sono emigrati in Italia e quelli che sono emigrati all’estero”.

I turisti in Sardegna arrivano dall’Italia o dall’estero in gran parte?

“Dipende dalla campana che si ascolta. Io mi baso sui dati: il 50 per cento degli arrivi sono italiani, l’altra metà stranieri. Fin qui è chiaro, ma se da Cagliari vai in vacanza ad Alghero, in hotel ti registri come italiano. In Svizzera abbiamo 520mila italiani e circa 250mila hanno il doppio passaporto. Chi arriva nell’Isola può consegnare quello italiano e risulta quindi non straniero. La deduzione è quella per cui quel 50 per cento che in teoria arriva dall’estero è in realtà molto più alto. E tra i promotori di questo turismo ci siamo noi emigrati fuori dall’Italia”.

Stesso discorso allora per i prodotti sardi?

“Sono stato sempre convinto del fatto che i circoli non siano e non debbano essere centri commerciali ma centri di organizzazione e di diffusione della Sardegna nel mondo. E preciso della Sardegna nella sua completezza di espressioni: storiche, culturali, sociali, civili, tradizionali, antropologiche, economiche, produttive, identitarie in generale. Le associazioni non possono sostituirsi agli imprenditori sardi, alle Camere di Commercio. La pubblicità non la possono fare i circoli ma la Regione. Quindi, ribadisco, non posso concepire le associazioni che facciano commercio”.

© Riproduzione riservata