Il tumore ovarico è tra le patologie più difficili da diagnosticare, per questo quando ci si rende conto della sua presenza è troppo tardi. È stato così per Luena, figlia di Maria Fois Maglione, la fondatrice de “Il Giardino di Lu”, associazione che si propone, attraverso diverse iniziative, tra cui la vendita dei tulipani, di sostenere la ricerca su questa patologia, che purtroppo colpisce molte donne.

Com’è nata l’idea di questa associazione?

«Inizialmente non progettavo di costituire un’associazione. Quando mia figlia se n’è andata per un tumore ovarico, volevo circondarmi di tutte quelle cose che le piacevano: i tulipani erano i suoi fiori preferiti. Quindi ho cominciato a piantare i bulbi di tulipani. Essendo il primo giardino di tulipani in Sardegna, fiorito nel 2017, le persone che passavano di qua, volevano acquistarli: però io non volevo venderli, ma regalarli. Ma volevo che fosse un giardino mio e basta. Successivamente ho pensato che quel giardino potesse aiutare altre donne: così è nato “Il Giardino di Lu”, a sostegno della ricerca e dello studio del tumore ovarico. Ampliando l’informazione che, come sappiamo, può salvare la vita. Abbiamo aumentato il numero dei bulbi, fino ad arrivare l’anno scorso a 200.000 bulbi, numero ripetuto quest’anno. Forse sono ancora pochi, perché domenica 19 c’è stato un numero immenso di persone; di mattina c’era l’incontro con l’arcivescovo: molte persone lo volevano incontrare; oltre al professor Antonio Macciò, erano presenti alcune autorità e monsignor Marcello Contu».

La raccolta fondi per la ricerca è la principale attività del Giardino di Lu?

«Sì, informazione e sostegno alla ricerca. Per aprile c’è un progetto nuovo: l’orto terapeutico di Lu. Assisteremo le donne che stanno attraversando un tumore o che sono guarite, anche se il tumore lascia dei segni incancellabili; per questo progetto, affideremo ad ogni persona un pezzetto di terra da coltivare, ma naturalmente le aiuteremo: saranno sostenute da medici, oncologi, psicologi, terapisti del dolore, figure professionali che hanno aderito come volontari. Il progetto partirà alla fine di aprile. Tra l’altro siamo vincitori di un bando nazionale con soli tre posti a disposizione ed uno ce lo siamo aggiudicato noi, dato dalla ConfAgricoltura e dal Ministero dell’Agricoltura. Abbiamo ricevuto un premio di 40.000 euro, da destinare al progetto dell’orto terapeutico. Forse dopo questo premio qualcuno, anche in Sardegna, si è accorto di noi».

Lei ha detto che vorrebbe far nascere un sogno per tutte le donne. Di che sogno si tratta?

«Il sogno è sempre lo stesso: sconfiggere il tumore ovarico. Ecco perché è un sogno. Ma continuo a crederci. Forse non potremo sconfiggerlo, ma potremo trovare delle terapie adatte alle donne e pensare che la vita per loro potrebbe essere più lunga».

Perché è così difficile combattere il tumore ovarico secondo lei?

«Intanto è una neoplasia subdola e poco conosciuta. Si confonde facilmente con altre patologie ed è molto aggressivo, soprattutto per le donne giovani: se si scopre in ritardo, è difficile curarlo».

Che ruolo hanno le famiglie delle pazienti nella vita dell’associazione?

«Soffrono forse di più della paziente stessa, come è successo a me: veder soffrire la propria figlia, senza poter fare nulla, né poter fare uno scambio: quante mamme vorrebbero scambiare il destino della propria figlia con il proprio? Purtroppo, non si può fare. Quindi assistere senza poter fare nulla è un doppio dolore».

Aiutare gli altri è la sua terapia…

«Se non avessi avuto il Giardino di Lu, non so come starei adesso. È una terapia iniziata soprattutto per me, ma le persone che vengono qui, soprattutto i familiari delle persone che non ci sono più, trovano conforto e qualcuna di loro lavora con noi e ci aiuta. Penso che sia d’aiuto anche per loro».

Che messaggio ha lasciato Mons. Baturi nella sua visita?

«Mi ha detto che aveva sentito parlare del giardino di Lu, ma viverlo sul posto è stata un’emozione diversa. Ci rincontreremo»

Marco Scano

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