Quando è arrivato al Mater Olbia, nel settembre del 2019, un mese dopo l’apertura di quella che viene comunemente indicata come Fisiatria, probabilmente Dario Lucchetti immaginava che il “suo” reparto sarebbe diventato un’eccellenza.

«A Roma dirigevo un servizio di riabilitazione intensiva: al Mater ho visto la possibilità di gestire un organizzazione di altissimo livello usufruendo di una vera possibilità multidisciplinare», svela il responsabile facente funzione primario dell’Unità operativa di riabilitazione e neuroriabilitazione della struttura nata dalla partnership tra la Qatar Foundation e il Policlinico Universitario “Gemelli” di Roma. «Poter ragionare ad alto livello e inanellare successi di cooperazione tra persone difficilmente realizzabili altrove è stata la chance che mi ha dato il Mater».

Quando si dice la visione. Che è un po’ il principio ispiratore dell’ospedale stesso, all’interno del quale non fa eccezione Fisiatria. «Il reparto ha due anime», spiega Lucchetti. «Gestiamo la riabilitazione intensiva post-acuzie, identificata a livello nazionale col codice 56 e dedicata, ad esempio, a pazienti che hanno avuto un ictus o post Covid con problemi respiratori, e la neuroriabilitazione, un’anima più piccola con meno posti letto».

Per l’esattezza, 24 su 74 totali. «Un’anima estremamente sofisticata, identificata col codice 75, che si rivolge a soggetti che hanno avuto gravissime lesioni cerebrali acquisite, che siano in condizioni di coma o che lo siano stati. Al Mater», prosegue il 51enne medico romano, «hanno recuperato diverse funzioni e dal reparto sono usciti con le loro gambe. È il livello più complesso dal punto di vista gestionale e organizzativo: l’unica altra unità con posti letto codice 75 in Sardegna è a Oristano».

Da qui l’importanza della specialità offerta dalla struttura privata, convenzionata col Servizio Sanitario Nazionale, sorta lungo l’Orientale Sarda, dopo l’aeroporto Costa Smeralda, e avviata a fine 2018. «In reparto siamo arrivati a ospitare fino a 18 persone, ora ne abbiamo 11 in progressiva dimissione: il nostro compito è stimolare il risveglio e la ripresa, o se il paziente sta uscendo dal coma velocizzare il percorso e orientarlo in maniera appropriata».

La pandemia, che ha aumentato la pressione sull’unità, ha contribuito a testarne il potenziale. «Uno dei nostri fiori all’occhiello è la gestione dei pazienti Covid e post Covid: i miei terapisti e noi, come medici, abbiamo lavorato direttamente all’interno del reparto Covid, e questo ci ha permesso di accorciare degenza e tempi di recupero. Abbiamo, poi, gestito i post Covid nostri e quelli che via via le altre strutture del territorio ci mandavano».

Mater come punto di riferimento. «C’è stata una progressiva presa di fiducia del territorio nella nostra attività: oltreché da Olbia, accogliamo pazienti da Cagliari, Nuoro, Oristano e Sassari», conferma Lucchetti. «Si è creata una buona collaborazione tra colleghi e unità operative della Rianimazione degli altri ospedali sardi, ma qui sono venuti da Pavia, Genova, Milano, per non parlare dei turisti». Che d’estate complicano, loro malgrado, la vita alla sanità di una Gallura già mortificata dai tagli. «Più persone sul territorio comportano una maggiore pressione sugli ospedali: noi non facciamo eccezione, anche se, per adesso, gli accessi maggiori li registriamo in attività ambulatoriale, ad esempio per una distorsione grave».

Se da un lato il reparto gestisce la riabilitazione per pazienti operati di protesi alle articolazioni e per fratture da politrauma, affetti da patologie neurologiche acute o croniche (sclerosi multipla, Morbo di Parkinson, post ictus) o da postumi di grave cerebrolesione acquisita che hanno comportato il coma, «l’attività ambulatoriale», spiega Lucchetti, «si rivolge a un paziente “più semplice”. Ci sono passate anche le pallavoliste dell’Hermaea Olbia e i giocatori dell’Olbia Calcio, con un programma specifico anche in palestra», dice ancora il fisiatra. «Uno dei nostri punti di forza è la multidisciplinarietà dell’intervento: nella mia équipe ci sono 4 fisiatri, 2 neurologi, una pneumologa e un’internista, più una collega specializzanda che collabora stabilmente con noi».

Una squadra destinata a crescere. «Stiamo codificando meglio il percorso dei nostri tecnici della riabilitazione: con noi lavorano un neuropsicologo, uno psicologo, un logopedista e i terapisti occupazionali, senza contare la possibilità che abbiamo di poterci avvalere di tutte le altre figure del Mater», aggiunge infine il professionista romano. «Le modalità con cui viene accolto e definito il percorso del paziente è un elemento centrale: sulla redazione del progetto individuale ci confrontiamo nell’équipe e con i colleghi delle altre specialità, con i parenti del paziente, e, se è in grado di seguire, col paziente. Concordare dove vogliamo arrivare», conclude Lucchetti, «è fondamentale nella gestione stessa del paziente inteso come persona».

Ilenia Giagnoni

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Tumori colon-retto, tecnica rivoluzionaria

«Il Mater Olbia Hospital è il primo e unico centro in Sardegna dove è possibile eseguire una nuova tecnica di chirurgia mininvasiva laparoscopica per via transanale (T.A.M.I.S., dall’acronimo inglese trans-anal minimally-invasive surgery), per i polipi e alcuni tumori del colon-retto», spiega il professor Alessandro Verbo, docente di Chirurgia oncologica dell’UCSC Policlinico Gemelli e Direttore della Unità operativa complessa di Chirurgia generale e oncologica al Mater di Olbia.

«La T.A.M.I.S. è una tecnica utilizzata da circa dieci anni», prosegue Verbo, «che si serve di un approccio min invasivo altamente specialistico, in grado di offrire un trattamento conservativo nell’asportazione di tumori localizzati nel retto. Il procedimento prevede un accesso tramite uno specifico “device” con strumentario laparoscopico per via rettale: gli strumenti fatti passare attraverso il dispositivo raggiungono la neoplasia, permettendo al chirurgo di intervenire efficacemente. Quando praticabile, la procedura rimuove la patologia senza i disagi e i rischi di un intervento chirurgico che è molto più invasivo, sia se viene condotto in laparoscopia sia a cielo aperto (laparotomico); in entrambi i casi, infatti, è necessaria la rimozione del tratto di intestino interessato dalla patologia».

«La T.A.M.I.S.», aggiunge il chirurgo, «presenta molteplici vantaggi. Il paziente non subisce l’asportazione del retto e non incorre nelle complicanze potenzialmente presenti in tale procedura (l’incontinenza fecale, disturbi urinari o riguardanti la sfera sessuale), ed evita in una percentuale non trascurabile di casi una derivazione intestinale temporanea (stomia), con intuibili ricadute sulla qualità di vita.

La procedura è condotta in anestesia generale e richiede un tempo operatorio di circa un’ora, la degenza è limitata (fra le 48 e le 72 ore), la riabilitazione molto rapida e non necessita di antibiotici o antidolorifici o del catetere vescicale. Tutto questo, oltre a produrre una rapida ripresa nel decorso post-operatorio, riduce i tempi di ospedalizzazione, permettendo un risparmio economico per il sistema sanitario».

«La T.A.M.I.S.», sottolinea Verbo, «è indicata in tre macroaree di patologia rettale oncologica: lesioni tumorali ancora benigne, ma troppo grandi o troppo ampie per essere asportate in colonscopia; carcinomi del retto che hanno risposto molto bene ai trattamenti citoriduttivi pre-operatori (terapie neo-audiuvanti), e neoplasie rettali intercettate quando si trovano ancora in uno stadio iniziale. È sempre bene ricordare l’importanza della prevenzione: anche in questo caso, infatti, la diagnosi precoce riduce il rischio di intervento demolitivo, aumentando l’aspettativa e la qualità di vita del paziente».

«Data l’alta incidenza del tumore del colon-retto, che si colloca al secondo posto come frequenza tra le malattie tumorali in Italia e in Europa (21.700 decessi nel solo 2021 in Italia), la praticabilità di questa innovativa tecnica chirurgica sul territorio», mette in evidenza il professor Verbo, «consentirà di limitare il cosiddetto “turismo sanitario” che vede i pazienti costretti a spostarsi in sedi extraregionali. Va infine ricordato che la T.A.M.I.S., così come tutte le tecniche super specialistiche, richiede personale esperto e un’adeguata curva di apprendimento (“learning curve”). Il Mater Hospital, dove contiamo di poter effettuare almeno 50 procedure nel primo anno, numero considerevole se rapportato alla popolazione residente, con questa metodica completa a 360 gradi lo spettro dei trattamenti chirurgici nei tumori colo-rettali.

Il paziente, nella nostra struttura, può essere accolto e inserito nei protocolli di cura in qualsiasi fase: screening, stadiazione, trattamento integrato secondo le moderne linee di cura. Sono convinto che in poco tempo, sulla spinta del nostro modello, altre realtà sanitarie regionali vorranno collaborare, per estendere questa tecnica e offrire un servizio al cittadino sempre più efficiente».

Luca Mirarchi

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