È la ghiandola madre, nel senso che controlla tutte le altre: dall’ipofisi dipendono la tiroide, le gonadi, le funzioni del surrene. Ecco perché bisogna prestare particolare attenzione quando viene colpita. Soprattutto da un tumore. I numeri non sono elevatissimi, cento malati all’anno, divisi fra uomini e donne, ed è una patologia che si cura nella quasi totalità dei casi, la gran parte con una terapia medica. Talvolta è però necessario ricorrere alla chirurgia. Ed è proprio su quest’ultimo fronte che gli endocrinologi della Sardegna hanno preso un’importante decisione che hanno sottoposto alla Regione: un’intesa fra i vari centri dell’Isola in modo da concentrare i pazienti in un’unica sede. L’aumento della casistica non potrà che migliorare la risposta medica. Il risultato sarà la fine della migrazione dei pazienti oltre Tirreno. «Più interventi si fanno, meglio si fanno», sintetizza benissimo il primario di Endocrinologia del Policlinico di Monserrato Andrea Loviselli. Che spiega l’importanza dall’accordo raggiunto: «Abbiamo organizzato un’intera giornata di studio sull’ipofisi, hanno partecipato tutti i centri endocrinologi della Sardegna. E, per la prima volta, i medici che si occupano di ipofisi nei nostri ospedali hanno deciso di dar vita a un percorso diagnostico-terapeutico che ha lo scopo di ridurre le migrazioni dei pazienti sardi in continente. Per noi tutto questo è fortemente stimolante». Anche perché la decisione degli endocrinologi sardi si è immediatamente tradotta in una proposta all’assessorato alla Sanità. «Purtroppo però il progetto segna il passo a causa del Covid che sta continuando a bloccare tutto: c’è stato un momento in cui sembrava si potesse ritornare alla normalità ma poi la risalita della curva dei contagi ci ha riportati alla situazione precedente, o quasi».

Gli endocrinologi non si sono comunque persi d’animo, nel senso che il progetto lo hanno portate avanti: «Certamente. Abbiamo cominciato a lavorarci e abbiamo già ottenuto un risultato: le unità operative di Cagliari, Sassari, Carbonia-Iglesias, con un coinvolgimento per ora non ufficiale anche del Mater Olbia, si sono date una nuova organizzazione. Succede così che se un paziente arriva in una di queste unità, può scegliere di andare in quella dove il servizio per il suo caso è il migliore».

Loviselli fa un esempio concreto: «Il prolattinoma è un tumore dell’ipofisi che colpisce la donna, il più delle volte va trattato con terapia medica ma in qualche caso è necessario ricorrere alla chirurgia, va da sé che un centro lavora meglio quando aumenta la casistica. Ecco, se noi concentriamo in unico centro gli interventi su questo tipo di tumore l’unità che li esegue potrebbe in breve tempo offrire un servizio d’eccellenza». Se la Neurochirurgia di Sassari, per esempio, dovesse accogliere un paziente con un tumore ipofisiario, il malato verrà mandato a Cagliari mentre Sassari procederà con la chirurgia su altro tipo di patologie. «È un grande passo in avanti», spiega Loviselli, «per colmare il gap col continente, che deriva esclusivamente dai numeri».

La casistica dice che soltanto nel dieci per cento dei casi di tumore all’ipofisi si ricorre all’intervento chirurgico, un altro dato è quello secondo il quale il 99 per cento dei casi viene curato. Il problema in questo tipo di tumore è semmai legato alla diagnosi: «Per le donne è più semplice», dice Loviselli, «perchè il primo sintomo è la perdita del ciclo mestruale. Negli uomini invece si manifesta con impotenza e quindi si pensa ad altre cause, oppure per vergogna si va dal medico in forte ritardo». Ecco perché le statistiche dicono che il tumore colpisce le donne fra i 30 e i 40 anni e gli uomini tra i 40 e i 50: «Sono dati legati alla diagnosi, che per gli uomini vien fatta in ritardo», aggiunge Loviselli.

Un volta avviata la nuova organizzazione resta da sperare che l’emergenza Covid che da due anni blocca di fatto gli ospedali possa presto rientrare. «Non si muore di sol virus, sottolinea Loviselli, in tutto questo periodo sono saltate molte visite oncologiche, cardiovascolari, diabetiche. Tutto questo lo pagheremo, in termini di salute e di costi, nei prossimi anni». Bisogna tornare al più presto al regime ordinario altrimenti le malattie cosiddette non comunicabili, quelle cioè che non si trasmettono con un virus, cresceranno in maniera esponenziale.

Maria Francesca Chiappe

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Udito, i rischi della musica “a palla”

Oltre 1 miliardo di persone nel mondo di età compresa tra i 12 e i 35 anni rischia di perdere l'udito a causa dell'esposizione prolungata a musica e ad altri suoni ad alto volume. A lanciare l'allarme, in occasione della Giornata mondiale dell'udito, è l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). I problemi di udito, evidenzia l'Oms, possono tradursi in conseguenze gravi sulla salute fisica e mentale, sull'istruzione e sulle prospettive occupazionali.

Tuttavia, una larga parte dei casi di perdita dell'udito potrebbe essere evitata mettendo in atto alcune misure di prevenzione. Per questo l'Oms ha elaborato nuove raccomandazioni, rivolte sia ai singoli che ai gestori di attività in cui viene riprodotta musica amplificata. «In situazioni come discoteche, bar, concerti ed eventi sportivi il rischio dipende anche dal fatto che non vengono offerte opzioni per un ascolto sicuro», ha detto Bente Mikkelsen, direttore del Dipartimento per le malattie non trasmissibili dell'Oms. «Le nuove raccomandazioni mirano a preservare l'udito garantendo comunque un suono di alta qualità e un'esperienza di ascolto piacevole», ha spiegato.

Le sei raccomandazioni Oms suggeriscono: un livello sonoro medio massimo di 100 decibel; il monitoraggio in tempo reale e la registrazione dei livelli sonori mediante apparecchiature calibrate da parte di personale designato; l'ottimizzazione dell'acustica del locale e dei sistemi audio; la messa a disposizione al pubblico di dispositivi di protezione personale dell'udito; la possibilità di accesso a zone tranquille per far riposare le orecchie; la formazione del personale e l'informazione.

Alle singole persone l'Oms consiglia: di mantenere basso il volume dei dispositivi audio personali; di utilizzare auricolari/cuffie ben adattati e, se possibile, in grado di eliminare il rumore; di indossare i tappi per le orecchie nei luoghi rumorosi; di sottoporsi a regolari controlli dell'udito. «Dobbiamo lavorare insieme per promuovere pratiche di ascolto sicure, soprattutto tra i giovani», ha detto Ren Minghui, vicedirettore generale dell'Oms.

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