Colangite biliare, disponbili nuovi protocolli terapeutici

Cos’è e come si riconosce la colangite biliare primitiva?

La Colangite Biliare Primitiva (PBC) è una malattia cronica e autoimmune del fegato che ha un’incidenza di 5,3 casi su 100.000 all’anno, e colpisce in particolar modo le donne (con un rapporto di 8:1 rispetto agli uomini) tra i 40 e i 60 anni. Colpisce selettivamente i piccoli dotti biliari, le cui cellule vengono erroneamente attaccate dal sistema immunitario determinando la loro distruzione e una progressiva fibrosi del fegato. Nello specifico, si scatena in soggetti predisposti geneticamente dove, il danno immunomediato, attraverso la distruzione delle cellule dei dotti biliari, porta al ristagno della bile nel fegato, causando la colestasi cronica. Una delle maggiori difficoltà legate a questa patologia risiede nel ritardo della diagnosi, dal momento che, all'inizio, i sintomi sono assenti, lievi e poco specifici. Tra questi, i più frequenti sono prurito (diffuso o localizzato), fatigue, gonfiore addominale, secchezza della bocca e degli occhi. La PBC si manifesta in diverse fasi: la prima, definita silente, è data dalla positività agli anticorpi anti-mitocondrio ma con prove epatiche normali ed è attualmente una fase oggetto di importanti studi in quanto potrebbe far emergere il sommerso; la seconda vede associarsi alla positività degli AMA anche un rialzo della fosfatasi alcalina (che spesso non viene eseguita tra gli esami del fegato); ed infine la fase sintomatica in cui, oltre a questi due indicatori, si presentano sintomi tipici della malattia o di altre patologie autoimmuni associate come artrite reumatoide, tiroidite autoimmune, celiachia, ecc. La maggior parte delle diagnosi avviene in seguito alla rilevazione degli anticorpi anti-mitocondrio (AMA) ed all’aumento della Fosfatasi Alcalina; l’ecografia del fegato dimostra l’assenza di patologie delle grandi vie biliari in questi pazienti. Diversamente la biopsia del fegato è un esame a cui si fa ricorso solamente in presenza di dubbio diagnostico o nel sospetto di altra patologia epatica associata alla PBC. L’identificazione dei pazienti a rischio di progressione di malattia epatica, invece, viene effettuata sulla base di biomarcatori surrogati, che valutano nel sangue la mancata normalizzazione della fosfatasi alcalina durante la terapia di prima o seconda linea. Diversi studi hanno dimostrato, infatti, che quando questo valore si normalizza gran parte di questi pazienti non sono soggetti a progressione di malattia. Negli ultimi anni sono stati raggiunti importanti traguardi nella cura di questa malattia, poiché fino a poco tempo fa avevamo a disposizione una sola terapia rappresentata dall’acido ursodesossicolico che era in grado di curare circa il 50% dei pazienti. La ricerca ha fatto molti progressi nella gestione della PBC, sviluppando trattamenti di seconda linea, come l’acido obeticolico e altri farmaci ancora in fase di sperimentazione. Con i trattamenti attualmente disponibili siamo in grado di limitare la progressione della malattia in oltre l’80% dei pazienti.

Domenico Alvaro, direttore Gastroenterologia Università La Sapienza Roma

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Risonanza magnetica e sedazione dei bimbi

Quando un bambino deve essere sottoposto a risonanza magnetica deve essere sedato?

I problemi neurologici sono all’origine del 40% degli accessi in ospedale e il 70% delle risonanze magnetiche è ormai di pertinenza neuroradiologica. Molto frequentemente le malattie del bambino sono malattie rare e dunque di difficile diagnosi, dove però la risonanza magnetica RM si rivela strumento essenziale. Sottoporre un bambino a un esame RM non è banale e richiede una particolare attenzione ad aspetti di tipo clinico e organizzativo: ad esempio, nei bambini al di sotto dei 5-6 anni è tipicamente necessario ricorrere alla sedazione per poter ottenere la necessaria immobilità; e per incrementare la collaborazione riducendo l’ansia è cruciale investire in sistemi di intrattenimento e distrazione prima e durante l’esame (video-tutorial, proiezione di video durante l’esame, etc.). Tuttavia, nel neonato (fino ai 5 kg di peso corporeo) è possibile eseguire l’esame senza necessità di sedazione, in condizioni di sonno spontaneo dopo il pasto. Inoltre, è oggi possibile anche studiare l’encefalo in via di sviluppo già in epoca fetale.

Andrea Rossi, presidente Società italiana Neuroradiologia dignostica e interventistica

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Dieta senza glutine, occhio alle fake news

Eliminando il glutine dalla dieta perdo peso?
La dieta senza glutine non fa dimagrire, ma neanche ingrassare. Messa da parte la falsa idea che basti eliminare una qualsiasi sostanza dalla nostra alimentazione per tornare in forma o per perdere peso, ci sono comunque delle precisazioni da fare in materia: è assolutamente possibile mangiare senza glutine restando in salute; i pazienti celiaci sono l'unica categoria di persone che devono però farlo obbligatoriamente. È altresì importante ricordare che esiste una discreta mole di dati scientifici che indicano come il glutine potrebbe avere un'azione infiammatoria nel nostro intestino anche nelle persone che non soffrono di celiachia. Se così fosse, almeno una parte delle persone che soffre di gonfiore addominale, di disturbi funzionali del tratto gastrointestinale potrebbe oggettivamente trarre beneficio dall'eliminazione del glutine. Semplificando e’ lecito affermare che il glutine potrebbe contribuire in un certo senso ad aumentare livello di infiammazione nell’organismo.

Pietro Senette, nutrizionista e ricercatore

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Tumore del seno, una nuova strada

Cosa é il carcinoma mammario HER2 positivo “low”?

Il 20% dei carcinomi mammari presenta una positività del recettore HER2. Sono tumori spesso aggressivi, ma che beneficiano di terapie bersaglio, anticorpi monoclonali anti-HER2, come il Trastuzumab e il Pertuzumab, e il TDM1. Queste terapie sono efficaci in pazienti con un’iperespressione di HER2 (+++) oppure nei ++- che presentano un’amplificazione del gene al FISH test. Da queste terapie sono esclusi gli “HER2 low”, che hanno un’espressione bassa di HER2: +-- oppure ++- senza amplificazione genica. Pochi giorni fa al congresso mondiale dell’Asco sono stati presentati i risultati dello studio Destiny-Breast04, in cui il Trastuzumab Deruxtecan, un anticorpo monoclonale farmaco-coniugato anti-HER2, ha dimostrato una sopravvivenza libera da progressione e una sopravvivenza globale superiori e clinicamente significative rispetto alla chemioterapia, nelle pazienti con carcinoma mammario HER2 low metastatico, già trattate. Il vantaggio di questa terapia, meno tossica della chemioterapia, induce a ritenerla una tappa storica nel trattamento di queste pazienti che rappresentano la metà dei carcinomi mammari.

Daniele Farci, responsabile oncologia Nuova casa di cura di Decimomannu e coordinatore regionale Aiom

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