Dodici specialisti per 14mila pazienti: è la dura realtà con cui si scontrano in Sardegna le persone affette da epilessia. Una patologia comune ma ancora trascurata nonostante l’Oms la abbia qualificata come malattia sociale già dal 1963 per gli effetti sulla vita quotidiana di chi ne soffre e dei familiari. Circa 50 le forme di epilessia conosciute che rendono complesse diagnosi e terapia.

Nell’Isola manca anche un’associazione dei pazienti che faccia rete attraverso lo scambio di informazioni: «Senza uno strumento che difenda i diritti dei malati anche noi medici ci troviamo disarmati – afferma Walter Merella, neurologo e coordinatore regionale della Lice, la lega italiana contro le epilessie – da questo punto vista ci sentiamo un po’ orfani». Per chi soffre di questa malattia, le attività normali della vita quotidiana diventano spesso un problema insormontabile. Per non parlare del pregiudizio diffuso che porta all’emarginazione e, in molti casi, all’autoesclusione.

Intorno all’epilessia aleggiano da sempre false credenze: le crisi, improvvise, brutali e angoscianti per chi vi assiste, vengono da molti percepite come patologie psichiatriche. «L’epilessia genera imbarazzo – continua Merella – chi ne soffre conduce spesso una vita nell’ombra. Eppure è più comune di quanto si pensi: in Sardegna ogni anno si contano 800/ 1000 nuovi casi». Una malattia dalla quale, in buona percentuale, si può guarire mentre nel 60% dei casi si parla di cronicità anche se ancora non riconosciuta nel Piano nazionale delle malattie croniche. I pochi specialisti a disposizione sul territorio sono concentrati nelle 4 province storiche con ambulatori o centri all’interno degli ospedali. «L’accesso alle cure appropriate è ancora un miraggio, la figura dell’epilettologo non è ancora istituzionalizzata anche se è indispensabile come il diabetologo per i diabetici».

Basso anche il numero di visite effettuate: nel 2020 sono state circa 7mila a fronte delle 25mila (due all’anno) necessarie per circa 12-14mila pazienti sardi. E le liste d’attesa – causa pandemia – si sono ulteriormente allungate. «Si sta cercando di far fronte a queste carenze con l’istituzione di un nuovo tavolo tecnico per elaborare i Protocolli diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA) sia per i minori sia per gli adulti». Un’assistenza multidisciplinare che metta in contatto l’epilettologo e gli altri specialisti può permettere al paziente di superare le difficoltà quotidiane. A scuola, prima di tutto, dove non esiste ancora un protocollo unico per l’assunzione dell’antiepilettico in orario scolastico come avviene invece per i diabetici. «Il problema riguarda circa 2000 bambini sardi. Oggi si gestisce la situazione in collaborazione con i familiari per garantirne la frequenza delle lezioni». Ma in caso di una crisi prolungata il personale scolastico non è in grado di somministrare un farmaco salvavita. «La terapia a scuola dovrebbe rientrare nella normalità, con i PDTA regionali stiamo lavorando in questa direzione. Il diritto allo studio deve essere garantito».

Negli adulti le difficoltà sono invece legate al lavoro o al semplice ottenimento di maggiori spazi di autonomia. Per gli epilettici diventa un problema anche guidare: crisi improvvise possono mettere a repentaglio la propria vita e quella degli altri. In passato chi soffriva di epilessia non poteva prendere la patente, motivo che induceva alcuni a nascondere la malattia. Oggi le cose sono cambiate: si può ottenere l’autorizzazione presentando la certificazione neurologica che attesti l’assenza di crisi da almeno 10 anni, nessuna terapia da almeno 5, nessuna anomalia nell’elettroencefalogramma.

«Si fa riferimento a una normativa europea – conclude Merella – ma le conoscenze scientifiche si basano su certezze e non su ipotesi». Ciò che serve è rendere la patologia più visibile, solo così si riesce ad affrontarla con serenità. Video, materiale informativo e una semplice guida possono essere consultabili su www.lice.it.

Carla Zizi

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