Le persone che sviluppano Covid-19 infettano circa la metà dei loro familiari, con gli adulti che hanno una probabilità solo di poco maggiore rispetto ai bambini di diffondere il virus.

Sono i risultati evidenziati da uno studio dei Centers of Disease Control and Prevention (CDC) americani.

La ricerca ha preso in esame casi di pazienti "iniziali", e cioè con infezione da coronavirus confermata in laboratorio a Nashville, nel Tennessee e Marshfield, nel Wisconsin, a partire da aprile 2020.

Sia loro che i familiari sono stati addestrati a distanza per completare diari dei sintomi e fornire ai ricercatori esiti di tamponi nasali e campioni di saliva, per 14 giorni. La totalità dei 191 contatti familiari dei 101 pazienti presi in esame ha riferito di non avere sintomi il giorno della comparsa della malattia del loro caro. Nel corso dei giorni, però, la situazione è mutata e 102 di loro hanno contratto il Sars-Cov-2.

Complessivamente, il tasso di queste infezioni cosiddette "secondarie" era del 53%, e oscillava tra il 57% degli over 18 e il 43% degli under 18. Solo in meno della metà dei casi, però, chi è stato infettato da un familiare ha riportato sintomi relativi al coronavirus.

In termini di caratteristiche della famiglia, il 69% dei pazienti da cui ha avuto inizio l'infezione ha riferito di aver trascorso quattro o più ore nella stessa stanza con uno o più familiari il giorno prima e il 40% il giorno dopo l'insorgenza della malattia. Il 40% ha riferito di aver dormito nella stessa stanza con uno o più familiari prima dell'inizio della malattia e il 30% dopo l'esordio.

Interpretando i risultati, gli autori dell'articolo scrivono che "in questo studio prospettico in corso che include un follow-up sistematico e quotidiano, la trasmissione di Sars-CoV-2 tra i membri della famiglia risultava comune e i tassi di infezione secondaria più alti di quanto precedentemente riportato".

Gli autori rilevano anche che altri Paesi hanno riportato tassi di contagio in famiglia diversi.

(Unioneonline/v.l.)
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