Quando il numero di globuli rossi nel sangue cala, il trasporto di ossigeno risulta insufficiente per il fabbisogno dell’organismo e si manifestano i primi sintomi evidenti: è l’anemia, una patologia che non deve essere sottovalutata. Secondo uno studio pubblicato dalla rivista The Lancet Haematology e condotto dall’Institute for Health Metrics and Evaluation, infatti, è la terza causa a livello mondiale nella classifica che misura gli anni vissuti con una disabilità. Si stima che, al termine del 2021, fossero 1,92 miliardi le persone affette da anemia, con un aumento di 420 milioni di casi rispetto a trent’anni prima.

La patologia

L’anemia si manifesta sotto diverse forme, è causata da motivazioni differenti e può provocare conseguenze che vanno da disturbi di lieve entità fino a situazioni decisamente più gravi. La riduzione dell’emoglobina (una proteina che contiene ferro presente all’interno dei globuli rossi) può essere un problema temporaneo o cronico. In generale, però, si parla di anemia quando i livelli nel sangue sono inferiori a 13 g/dl nell’uomo o 12 g/dl nella donna. Un altro parametro è quello legato all’ematocrito (il rapporto tra il plasma e gli elementi figurati, globuli rossi, bianchi, piastrine) inferiore al 40% negli uomini e al 37% nelle donne. Le analisi del sangue sono dunque la prima spia che rivela la possibile presenza della patologia. L’anemia può essere dovuta a una produzione ridotta di globuli rossi: è il caso dell’anemia aplastica, forma abbastanza rara nella quale le cellule di midollo osseo, “culla” delle cellule ematiche mature, sono danneggiate. In altri casi, si può osservare una perdita acuta di globuli rossi dovuta a emorragie. Infine, ci può essere una eccessiva distruzione di globuli rossi da parte dell’organismo: è questo il caso delle anemie emolitiche, delle talassemie, dell’artrite reumatoide e di altre patologie autoimmuni.

La diagnosi

Rendersi conto di essere anemici può non essere semplice, visto che i sintomi che si manifestano sono abbastanza generici: stanchezza, tachicardia, mal di testa, pallore e affanno. Ci si deve quindi rivolgere al proprio medico che potrà prescrivere alcuni esami: l’emocromo per la conta dei globuli rossi; lo striscio di sangue, che consente di avere ulteriori informazioni su un’eventuale anomalia nella morfologia dei globuli rossi; la conta dei reticolociti, che quantifica il numero di globuli rossi immaturi presenti nel sangue periferico. Nel caso di diagnosi positiva, diventa fondamentale rivolgersi a un nutrizionista per individuare se il problema è di origine alimentare ed eventualmente correggere la dieta.

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I fattori di rischio sono molto mutevoli

Alcune persone risultano più esposte di altre all’anemia: i fattori di rischio possono essere prevenuti solo in parte, visto che esiste una forma di anemia che è ereditaria. Si tratta, per esempio, dell’anemia mediterranea (o talassemia) causata da un difetto genetico che provoca la distruzione accelerata dei globuli rossi. Nelle forme più gravi, chi ne soffre è costretto a sottoporsi a trasfusioni di sangue ogni 2-3 settimane. Altra patologia ereditaria è l’anemia falciforme: i globuli rossi vengono prodotti con una forma alterata, tipo falce o mezzaluna, e ciò comporta anche rischi per il regolare flusso sanguigno e un accorciamento della vita da 120 a 10-20 giorni dei globuli rossi stessi. Le emoglobinopatie (cioè la talassemia e altre anemie rare) sono le patologie genetiche rare più comuni al mondo. In Italia le stime parlano di circa 7.000 pazienti talassemici e circa 6.000 persone colpite da altri tipi di emoglobinopatie. Un problema che di recente è salito alla ribalta è quello della cosiddetta “talassemia di ritorno”, dovuta all’aumento dei flussi migratori. Negli ultimi anni infatti si è registrato un incremento del 40% delle richieste di cura nella popolazione pediatrica rispetto ai primi anni del 2000.

Le forme

Le forme sulle quali è possibile intervenire sono quelle in cui la carenza di globuli rossi è dovuta ad altre carenze di sostanze nell’organismo, come l’anemia sideropenica dovuta alla mancanza di ferro o l’anemia da carenze vitaminiche (vitamina B12, acido folico, vitamina C). In questi casi (in cui sono comunque rare le complicanze gravi), gioca un ruolo fondamentale il regime alimentare seguito. Altri fattori di rischio sono la presenza di malattie infiammatorie intestinali e di infezioni croniche, mestruazioni troppo abbondanti o l’essere in gravidanza.

La gravidanza

Proprio l’aspetto legato alle gravidanze è molto delicato. In circa il 95% delle donne in dolce attesa l’anemia è provocata dalla mancanza di ferro e le cause possono essere numerose: si va dall’apporto alimentare insufficiente a una precedente gravidanza, fino alla usuale perdita di ferro legata al ciclo mestruale prima che la donna rimanga incinta. Qualsiasi sia l’origine di questa patologia, i rischi non sono da sottovalutare. Il bambino di una donna anemica potrebbe nascere prima del termine o essere sottopeso. I figli di donne carenti di ferro, inoltre, dimostrano più di frequente un ritardo nell’apprendimento e nella memoria. I rischi riguardano anche la madre, che potrebbe aver bisogno di trasfusioni durante il parto, a causa della quantità di sangue perso, e potrebbe andare incontro con più facilità a infezioni e depressione post-partum. Per evitare di incappare in questi problemi, è possibile sottoporre la donna, durante la gravidanza, alle cosiddette “infusioni di ferro”, con l’obiettivo di raggiungere i livelli consigliati ed evitare ripercussioni durante il parto. Una alimentazione mirata rimane comunque la maniera più efficace per garantirsi una gravidanza serena. Importante dunque non far mancare sulla tavola cibi ad alto contenuto di ferro (verdure a foglia verde, carne rossa, cereali fortificati, uova e arachidi). Una dieta equilibrata è sufficiente nella maggior parte dei casi.

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Le soluzioni alimentari: come sopperire alle carenze

Tra le tante forme di anemia legate alla mancanza di sostanze utili per i globuli rossi, la più comune è l’anemia sideropenica, variante cronica che si distingue per la riduzione del ferro. È più diffusa tra i bambini e gli adolescenti e nelle donne in gravidanza. Anche il mancato assorbimento della vitamina B12 può essere responsabile dell’anemia. Infine, gioca un ruolo importante la bassa quantità di acido folico, correlata alla mancata assunzione di cibi freschi o a cotture troppo lunghe dei vegetali. Nei casi di anemia sideropenica, i nutrizionisti tendono a elaborare un regime alimentare ricco di ferro, con alimenti di origine vegetale (cereali, legumi e verdure a foglia verde) e di origine animale (carni rosse magre, tacchino, pollo, pesci come tonno, merluzzo, salmone). Il ferro di origine animale risulta però di più facile assorbimento per l’intestino rispetto a quello contenuto in frutta e verdura. Tale differenza può essere colmata con degli abbinamenti che sfruttano le proprietà di alcune sostanze capaci di favorirne l’assorbimento: tra queste, la vitamina C (presente in agrumi, uva, kiwi, peperoni, pomodori, cavoli, broccoli, lattuga), la cisteina (contenuta nella carne e nel pesce), la vitamina A (in fegato di bovino e merluzzo, verdura di colore giallo-arancione e verde brillante, tuorlo d’uovo, burro, formaggi) e il rame (presente in cereali, molluschi, uova, frutta secca con guscio).

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