Gianluigi Paragone guarda Giorgia Meloni e vede Mario Draghi. L’una o l’altro sono quasi la stessa cosa, agli occhi del giornalista che ha fondato Italexit (e che domani a Cagliari presenterà i candidati sardi): «Meloni sta cercando di accreditarsi negli ambienti europei e della finanza internazionale. A Cernobbio ha fatto capire che andrà avanti con l’agenda Draghi, il piano Colao e tutto ciò che impone l’Ue».

Eppure lei era l’unica vera opposizione a Draghi.

«Ora però vuole rendersi credibile sui mercati finanziari. Ma la sovranità appartiene al popolo, non ai mercati. È lo stesso errore fatto da altri: cercare il placet di certi ambienti per essere più sicura nel caso dovesse fare la premier. E come altri, si brucerà».

Quindi, se sarà premier, voi farete opposizione?

«Sicuramente. Giorgia Meloni è solo una finzione di questa campagna elettorale, non è una vera alternativa».

Comunque meglio di altri possibili governi, per voi?

«No, non fa davvero differenza, sono tutti uguali. Se cambi il governo ma la politica resta la stessa, è inutile. Io voglio capire come pensano di riparare un’economia reale fatta di imprese che chiudono».

Voi cosa proponete?

«Il tema centrale, anche in Sardegna, è il lavoro e la possibilità di fare impresa. Deve cambiare l’intero paradigma: aiutiamo le aziende, non le multinazionali. Facciamo due conti: oggi un’impresa ha le tasse, se ha arretrati deve gestire le cartelle esattoriali, poi le noie con le banche, il costo del lavoro... ecco, basta chiacchiere sul cuneo fiscale, si tagli davvero il peso sulle aziende».

Contro il caro energia, invece, come si dovrebbe agire?

«Non è solo un problema di caro energia: ogni mese non sai quale sarà l’importo della tua bolletta il mese dopo, perché non dipende dal tuo consumo ma dal prezzo del gas. Vorrei ricordare che il governo è ancora pienamente operativo; e con un’emergenza come questa non vale il limite dell’ordinaria amministrazione».

Cosa può fare il governo?

«Avrebbe dovuto già azionare la leva del deficit per aiutare famiglie e piccole imprese. Se no, entro l’anno molte aziende chiuderanno e lo Stato avrà mancati introiti fiscali e lavoratori da proteggere. Se sei ligio al fanatismo contabile dell’Europa, poi la paghi».

E sul prezzo del gas?

«Serve anzitutto una lotta agli speculatori. Se ipotizzi un tetto al prezzo e non lo metti subito dopo, riesci solo a inquietare i mercati e gli speculatori si trovano nel loro habitat naturale. Tra le speculazioni da colpire c’è quella dell’Eni: una partecipata di Stato che in sei mesi ha fatto il 700% di utili e 7 miliardi di profitti in più».

Allora è d’accordo con la tassa sugli extraprofitti?

«Nel caso Eni, dato che il ministero dell’Economia ha una quota della società, il ministro Franco dovrebbe ordinare di spalmarli su tutti gli italiani».

Il tema è legato alla guerra. Cosa pensa sul punto?

«Che le sanzioni non servono a nulla. L’economia russa non sta soffrendo. Noi sì perché ci manca il gas. E se pensi a un tetto al prezzo, Putin chiude il Nord Stream. È inutile dire come sostituiremo il gas russo tra un anno: io devo pagare le bollette adesso. Nel braccio di ferro con la Russia, perdiamo noi: dobbiamo essere pacificatori, mediatori, tanto non ci sarà la vittoria di Zelensky e la sconfitta totale di Putin».

Però l’aggressore, in questa vicenda, è proprio Putin.

«Sì, ma non è più il tempo di catalogare i buoni e i cattivi. Anche perché dovremmo ragionare su chi ha creato i presupposti di questa guerra. Pensiamo a cosa fare in concreto».

Vi criticano perché accogliete esponenti dell’estrema destra: come replica?

«Non posso fare una campagna antisistema e poi temere la retorica del sistema diretta a cancellare le responsabilità del potere multinazionale e finanziario: che è molto più fascista di Casapound o di chi ha fatto un percorso partendo da destra. Il vero fascismo oggi è un fascismo bianco, fatto dai mercati, dalle discriminazioni. Se in piazza con noi c’erano anche ragazze e ragazzi che arrivano da Casapound, per noi non è un problema. Avete visto come parlano quelli del Pd? “In ginocchio o gli sparo” l’ha detto uno di loro».

Però su questo tema si è rotta l’intesa con Alternativa di Pino Cabras.

«Mi dispiace per Cabras, si è dimostrato vittima della grammatica mainstream: pensa di combattere il sistema, ma ci è rimasto intrappolato dentro. Non mi riguarda più. Carlotta Chiaraluce ha la fedina penale immacolata: ha avuto un’esperienza in Casapound? Ma legittimata dal voto. Da noi c’è anche Raffaella Regoli, che ha i capelli rasta e proviene dall’estrema sinistra».

Lei fu eletto col M5S: che rapporto ha ora con loro?

«Nessuno. Non ho alcuna stima di Conte, l’uomo che ha salvato i Benetton dopo il Ponte Morandi, ha inventato Speranza, i Cts, Arcuri commissario a tutto, i banchi a rotelle. Si rivelerà per quello che è, un uomo camaleontico che ha tentato di fare il Conte ter raccattando la qualunque».

Faccia allora un identikit del vostro elettore-tipo. Secondo lei, chi vi voterà?

«Chi ancora crede che Davide possa sconfiggere Golia. Ogni voto a Italexit è un sassolino per la fionda di Davide. Superare il 3% è l’obiettivo minimo, poi dovremo strutturarci. Io ci credo: dove c’è ingiustizia, discriminazione, disperazione, ci sarà un Davide con la sua fionda e le sue pietre».

Giuseppe Meloni

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