Ora che i toni della polemica sulla cosiddetta “famiglia nel bosco” si stanno abbassando, e in attesa di un pronunciamento definitivo, vorrei fare alcune considerazioni su un problema che in passato mi ha tante volte coinvolto.

Sono stato per 20 anni un giudice minorile; ho quindi seguito la vicenda, in continua evoluzione, dei tre bambini allontanati dai genitori e inseriti, dopo un anno di inutili tentativi, in una comunità per minori senza peraltro interrompere i rapporti con la madre. La vicenda è nota a tutti, e non mi attardo quindi a raccontarne i particolari.

Orbene, la critica aggressiva per l’intervento operato nei confronti della famiglia del bosco, culminato con l’allontanamento dei loro figli, non può che trovare la propria giustificazione nel principio, proclamato da molti e condiviso, per fortuna solo a parole, da tanti genitori, secondo cui “i figli sono i miei e ne faccio quello che voglio”. Un principio sbandierato come verità assoluta anche da alcuni nostri politici, da giornalisti e soprattutto dalla famiglia del bosco che, pur di non avere fastidiose interferenze, si è sempre sottratta, anche con la fuga, a qualunque controllo. Un principio che, a mio giudizio, non sembra possa condividersi, perché confonde l’arbitrarietà dei comportamenti di certi genitori con il più corretto concetto di libertà delle scelte educative, che però incontra sempre il proprio limite nel rispetto dei diritti altrui.

Primi fra tutti quelli dei bambini che sono portatori dei diritti alla salute, all’istruzione, all’educazione e soprattutto ad una vita di relazione con altri coetanei, indispensabile per la loro salute mentale e fisica. Purtroppo il messaggio che con insistenza è stato inviato a tanti genitori che però in buona fede rispettano le regole educative, non tiene conto del danno che un siffatto messaggio potrebbe causare ai loro figli quando raggiungeranno l’età dell’adolescenza prima e quella adulta poi. E l’attuale esistenza di una gioventù sempre più violenta è una chiara conseguenza di un’educazione in qualche modo sbagliata. Occorre in sostanza prevenire certe condotte se vogliamo che i bambini di oggi diventino, domani, degli uomini maturi e responsabili.

Comunque, per tranquillizzare le preoccupazioni di qualcuno sulla definitività o non del provvedimento di allontanamento, è appena il caso di rilevare che quello emesso dal Tribunale è una semplice ordinanza, ampiamente motivata, come tale modificabile in ogni momento dopo ulteriori approfondimenti. Una ordinanza che, emessa a fini istruttori, prelude al altri interventi ma non rappresenta la chiusura del procedimento, costituendo solo un momento dell’iter processuale per poter giungere per gradi ad una corretta conclusione di questa drammatica vicenda. Occorre dunque attendere con fiducia l’evolversi della situazione.

Tornando, ora, al caso di specie, premesso che, in base alle regole condivise dalla grande maggioranza di noi tutti, il comportamento di questi genitori è stato sicuramente pregiudizievole per i loro figli, è indubbio che l’intervento dei servizi sociali prima e della magistratura poi, si sia reso necessario, forse con mezzi ritenuti da taluno esperto in pedagogia eccessivi, come mezzo per tentare di indurre questi genitori intransigenti a collaborare e a cambiare stile di vita, mandando i figli a scuola, garantendo loro così di avere una corretta vita di relazione con altri bambini coi quali giocare e dichiarandosi disponibili, quanto meno, a ristrutturare la loro fatiscente abitazione priva di servizi igienici all’interno, di acqua corrente e di luce; per non parlare del problema dei rifiuti dispersi nel bosco con risultati per niente ecologici ed igienici, dando così un pessimo insegnamento ai loro bambini.

Voglio concludere queste mie riflessioni con la considerazione che una cosa è l’incontestabile diritto di critica, ma ben altro è il comportamento aggressivo e violento tenuto nel corso di questa vicenda nei confronti di magistrati, definiti “ladri di bambini” e peggio. Magistrati che, a differenza di tanti commentatori, hanno il difficile compito e la responsabilità del “decidere”, possibilmente in un clima sereno e privo di condizionamenti. Un’aggressione verbale, e non solo, da non condividersi, anche perché fa sorgere il dubbio che sia servita soprattutto per influenzare una opinione pubblica montata ad arte contro una fondamentale e insostituibile istituzione dello Stato, creata dalla nostra Costituzione per garantire il rispetto dei diritti delle persone più deboli.

Gian Luigi Ferrero

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