La grave crisi del diritto: l’editoriale del 17 dicembre 2025
Di Leonardo FilippiLa condanna da parte di un tribunale di Mosca dei giudici della Corte penale internazionale, tra i quali il giudice italiano Aitala, a quindici anni di carcere, imputati del reato di “perseguimento penale di una persona notoriamente innocente” per aver emanato contro Putin il mandato di cattura per la deportazione in Russia dei 30.000 bambini ucraini e la distruzione di infrastrutture civili, è una evidente ritorsione russa.
Ma sappiamo come funziona la giustizia a Mosca, in cui è il presidente della Federazione russa, cioè lo stesso Putin, che propone la nomina sia del procuratore generale sia dei giudici, sui quali quindi ha un’influenza diretta: in parole povere Putin ordina le condanne, la Procura incrimina e il giudice emette la sentenza. Questo è lo stato del diritto nella Federazione russa, ma non meglio funziona negli Stati Uniti d’America, dove la presidenza Trump sta imponendo alla giustizia una preoccupante involuzione.
Sembra proprio che i grandi della Terra mirino a spartirsi il mondo: Trump vorrebbe annettersi la Groenlandia e il Venezuela o Gaza, Putin l’Ucraina, per ora, e Xi Jinping Taiwan. In tutti questi casi alla forza del diritto si sostituisce il diritto della forza e questo significa la fine della civiltà e dello Stato di diritto e il ritorno alla legge della giungla, dove alla fine è sempre il più forte che detta legge.
Ma ciò che lascia veramente sgomenti è l’indifferenza dell’opinione pubblica e persino delle Nazioni Unite di fronte alla vile aggressione dell’Ucraina e, dopo quasi quattro anni, ai quotidiani bombardamenti di civili e ospedali. Eppure, se non ci fosse da piangere dovremmo ridere, perché l’autocrate russo ha sparato l’ennesima fandonia per contrabbandare la sua aggressione militare ad uno Stato sovrano e indipendente come una “operazione speciale” per riportare quei territori alla madre patria perché “il Donbass è sempre stato territorio russo: è un fatto storico”.
Ma se è così, siccome la Crimea faceva parte dell’Impero Romano d’Oriente, dovremmo andare a riprendercela con le armi e annetterla all’Italia. Purtroppo, come diceva Flaiano, “la situazione è grave ma non è seria”, almeno per l’Europa, che, pur essendo rimasta l’unica al fianco di Zelensky, è ancora lontana dall’essere unita e determinata e le perplessità e le obiezioni a sostenere ancora l’Ucraina non mancano.
Un sussulto di reazione è però appena giunto dalla Commissione europea, che ha deciso di utilizzare gli asset russi sequestrati in Europa come garanzia per un prestito all’Ucraina. Si tratta di una mossa assai temuta da Putin perché è l’unica che può davvero soffocare l’economia bellica russa e peraltro è conforme al diritto.
Infatti, nei processi vige il sequestro conservativo che mira ad assicurare la garanzia del credito prima della sentenza definitiva e la stessa regola si applica a livello internazionale. Perciò, il sequestro dei beni russi in Europa serve a garantire che la Russia provveda alle ricostruzioni provocate con l’aggressione dell’Ucraina.
Quei beni oggi restano di proprietà russa, ma su di essi si fonda la garanzia per un prestito che l’Unione europea concederà all’Ucraina. Se la Russia provvederà a risarcire i danni di guerra, i beni le saranno restituiti; se invece non provvederà ai risarcimenti, quei beni saranno confiscati e utilizzati per la ricostruzione dell’Ucraina. Forse, la lezione che “chi rompe paga” servirà in futuro ad evitare aggressioni militari.
Ma la desolante conclusione è che il diritto sovranazionale soccombe di fronte alle autocrazie sparse per il mondo, e non sarà facile ricostituire un sistema di giustizia tra i Paesi basato sul diritto e non sulla forza. Eppure, l’art. 11 della nostra Costituzione auspica “un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni” e l’art. 1 della Carta delle Nazioni Unite indica come finalità del trattato quella di “mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace”.
Il trattato fu approvato nel 1945, giusto ottant’anni fa, ed è tuttora vincolante per Europa, Stati Uniti d’America, Russia e Cina, ma sono principi che oggi sembrano dimenticati.
Leonardo Filippi