P erché molti cieli di Nolde sono rossi? Di cosa parlano Le Talisie di Teocrito? Qual è la condizione necessaria e sufficiente perché nel punto ics esista un massimo? Ma soprattutto, perché a me la maturità covid? Le prime tre sono alcune delle tante domande di ripasso che ripeto a mente. L'ultima no: l'ultima non c'entra nulla con arte, greco o matematica. L'ultima me la faccio ininterrottamente dal nove marzo. E anche se so che i cieli di Nolde sono rossi perché è un pittore espressionista, che Teocrito racconta l'agone improvvisato fra Simichida e Licida e che, per avere un massimo, nell'intorno del punto ics la derivata deve cambiare segno, davanti a quell'ultima domanda, quasi di sicuro, farei scena muta. Perché la risposta, io, non l'ho trovata. Perché, semplicemente, non c'è.

L'ultimo giorno di scuola in presenza non c'eravamo neanche tutti, in classe. Di più: mancavo io e un altro paio di compagni che, come me, si mangia le mani se pensa, e lo pensa, che ci siamo salutati come qualunque altro giorno di cinque anni di liceo; se pensa che avremmo dovuto abbracciarci forte, scattare qualche foto, tenere dentro il ricordo dell'ansia delle interrogazioni, sapendo come sarebbe cambiata la storia, anche la nostra, di lì a qualche ora.

M a Zoom chi l'aveva mai sentita? E chi se l'aspettava, la didattica a distanza? E l'esame lo cambieranno, vero? Sì, ma con calma: prima sdoppiato, poi stampato sui giornali, poi l'attesa di una circolare attuativa o di un'ordinanza siglata dal ministero, e non di un'intervista rilasciata a un quotidiano.

Sessanta minuti di colloquio, un pentathlon due punto zero: elaborato sulle discipline di indirizzo, analisi di un testo di italiano, spunto della commissione e collegamenti pluridisciplinari, pcto (già alternanza scuola lavoro, n.d.r) e competenze di cittadinanza e costituzione. Sintesi, concetti, efficacia.

Una manche scandita da mascherina, autocertificazione e sanificazione dei locali. Hanno stravolto un esame, ma le emozioni non cambiano mai: ci si sfoga in videochiamata, ci si scrive su Whatsapp, ognuno di noi ha dentro una o due paure che cerchiamo di sconfiggere insieme.

Non mi è mai piaciuto Venditti. Ma avrei fatto di tutto pur di cantare Notte prima degli esami davanti all'ingresso del Dettori. Perché non avrei stonato o saltato intere strofe da solo. Perché saremmo stati i fantastici venti della quinta e davanti al mondo di cose e di vita che ci si apriva davanti.

Dopo i ritornelli, non sapendo il testo nemmeno di striscio, avrei guardato durante tutta la strofa come si erano fatte donne Francesca ed Eleonora, la barba di Gabriele che invidiavo un sacco, la risata di Matilde che diventava pianto e poi ancora risata.

Avrei avuto il fido compagno di battaglie Montanari già in custodia e pronto per la versione, le mille possibili tracce del tema di italiano in testa. C'è solo un grande, enorme problema in tutto questo: il condizionale.

Non credo di aver mai odiato un modo verbale quanto il condizionale negli ultimi mesi. Lo hanno usato tutti, per ogni tipo di discorso. Anche per noi, che siamo presente; per noi, che saremo futuro.

In compenso, quando la vita ci avrà portato lontano e questi anni saranno sfocati dal tempo, potremo raccontare che noi siamo stati quelli della maturità covid. Che abbiamo cantato Venditti su Zoom.

E che, durante quelle strofe, una voce profonda e vagamente gutturale continuava a chiedersi: perché molti cieli di Nolde sono rossi?

MATTEO PORRU

STUDENTE MATURANDO

E SCRITTORE
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