S crivo queste righe da una Londra piovigginosa, nuovamente a casa dopo aver passato un paio di giorni al sole già estivo della Sardegna, fra Cagliari, Carbonia e Carloforte. Ogni volta che torno in Sardegna fuori dai mesi di alta stagione mi riprometto di farlo spesso: l’isola è bellissima d’estate, ma forse più se stessa quando non si sente osservata dai turisti.

Dopo questa visita non è solamente il ricordo del primo caldo estivo che mi riporto a Londra. Questa volta la cosa che mi è rimasta più impressa è la netta differenza che ho notato nella narrativa attorno alla guerra in Ucraina fra l’Italia e il Regno Unito. Ho iniziato a notarla dopo una serata di zapping fra Tg e talk show. L’Ucraina è su tutti i programmi di informazione. Ci sono tanti inviati tv in diretta sia dall’Ucraina che dai Paesi circostanti, cosa non scontata e importantissima - il vero giornalismo lo fanno loro (e non gli opinionisti) perché spesso a grande rischio personale.

Passando dalla tv alla stampa, e paragonando le prime pagine dei giornali, la normalità sembra essersi invertita. Solitamente i giornali italiani si focalizzano sulla cronaca nazionale e quelli britannici gettano l’occhio più verso l’estero, mentre in quei giorni quasi tutte le prima pagine (e non solo) italiane erano rivolte all’Ucraina, mentre quelle inglesi erano piene di notizie dei vari guai dentro, e non fuori, le frontiere britanniche.

Bisogna ammettere che il Regno Unito non sta certo attraversando un buon momento e che i problemi interni non mancano.

C ’è l’imbarazzo della scelta fra l’inchiesta sui festini del governo durante il lockdown, le ulteriori complicazioni della Brexit legate all’Irlanda del Nord e una crisi del costo della vita che sta preoccupando gli inglesi più di qualsiasi scandalo politico.

Ma mentre l’opposizione tartassa il governo Johnson su tutti questi fronti, sulla questione Ucraina la classe politica è compatta. Il leader del partito laburista Keir Starmer non solo sta mostrando enorme fedeltà alla coalizione Nato, ma la impone anche ai parlamentari del suo partito. Nessuna discussione sull’armare o no l’Ucraina. Anche quando menziona potenziali tagli alla Difesa, il supporto di Starmer per l’Ucraina rimane intatto. Per il Premier Boris Johnson intanto, la guerra offre una ottima opportunità per distogliere l’attenzione dalla precaria situazione interna.

Perciò nessun dissenso politico in Gran Bretagna, a differenze dell'Italia dove la guerra occupa così tanto spazio nei talk show proprio perché la distinzione fra politica estera e nazionale si fa sempre più sfumata.

Ma non è solo nella sfera politica che si nota una differenza. In Italia ho sentito molti più amici, colleghi e conoscenti esprimere scetticismo verso la possibile entrata della Finlandia e Svezia nella Nato. E molte più domande sul ruolo dell’Alleanza transatlantica che si spinge così vicina alle frontiere russe. Questo scetticismo è sottolineato da una paura di provocare Vladimir Putin e di portare la guerra più vicina a noi.

Se il Regno Unito non rispecchia questi sentimenti non è solo una questione dell’opportunismo di Boris Johnson, ma di una chiara differenza di mentalità del popolo britannico.

La guerra in Ucraina riporta spesso a paragoni con la Seconda Guerra Mondiale, l’ultima volta che l’Europa sia stata travolta dal un conflitto continentale. E qui il Regno Unito ha giocato un ruolo diverso dal nostro. Per tutti i loro altri peccati storici (vedi impero e tratta degli schiavi) nel contesto della Seconda Guerra Mondiale, i britannici si sono trovati dalla parte giusta della storia. Ma la loro lezione da imparare da quegli anni bui fu l’errore della politica di “appeasement”, il compromesso di fronte alla crescente aggressività del Nazismo nella speranza che questo potesse rappacificare Hitler. Fino ad arrivare alla concessione del territorio cecoslovacco da parte del premier britannico Neville Chamberlain alla conferenza di Monaco del 1938. Anche lui, per ragioni cosiddette “pacifiste”.

Sappiamo che la storia non ha dato ragione alla politica di Neville Chamberlain. Non si negozia con un tiranno. Non si scende a compromessi con un bullo sperando che questo ci risparmi l’ennesimo confronto. Non (solamente) per questioni morali, ma semplicemente perché alla fine quella strategia non funziona mai. E forse questa lezione dovremmo impararla pure noi.

Giornalista, Londra

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