G i orgia Meloni ha di nuovo stupito i suoi avversari con un discorso misurato e quasi “moderato”, nel quale non sono mancati riferimenti simbolicamente significativi per la destra ma inseriti in una cornice che farà alzare il sopracciglio solo a chi è in malafede. Anche sui “diritti” la premier è stata inappuntabile. Mai come questa volta la sinistra farebbe bene a prendere atto delle qualità del suo avversario.

P iaccia o non piaccia, abbiamo di fronte un politico di formazione “tradizionale”, attento alle liturgie del gioco parlamentare, consapevole della necessità di dare un ancoraggio ideale alle scelte politiche e nello stesso tempo ansiosa di mettersi in gioco sulle sfide del pragmatismo. Il discorso con cui un premier chiede la fiducia dovrebbe essere programmatico, ma tende a diventare una radiografia delle cose come stanno e non sempre fornisce indicazioni puntuali sull’agenda del governo. Se volessimo cercare di capire, dalle sue parole di ieri, cosa davvero desidera fare Giorgia Meloni, qual è la medaglia che sogna di appuntarsi sul petto, nella consapevolezza che un premier riesce, quando va bene, a realizzare una frazione di quel che ha promesso agli elettori, non ne trarremmo granché. Ma più delle parole conta lo stile, il quadro di riferimento.Meloni è stata conciliante con l’Unione europea, ha riaffermato serietà e stabilità (a cominciare dalla stabilità delle alleanze internazionali) come tratto saliente di questo governo e suo personale, ha ripetuto con variabile convinzione le diverse promesse elettorali in campo economico ma ha evitato fughe in avanti su spesa e bilancio. In un passaggio cruciale del suo discorso, ha detto che l’Italia tiene a partecipare al processo di riscrittura del Patto di stabilità e crescita ma che si atterrà alle regole vigenti. La parola “deficit” non è stata pronunciata, e nemmeno il suo popolare surrogato “scostamento di bilancio”.L’impianto tradizionale di quella “destra sociale”, da cui Meloni proviene, è affezionato all’intervento pubblico e ieri ha avuto le sue soddisfazioni. La nuova premier vuole nazionalizzare la rete Telecom e impegnarsi in non meglio precisate iniziative a favore della “sovranità alimentare”. Ma nel discorso di Meloni non devono stupire gli accenti statalisti, perché si sarebbero trovati, sugli stessi temi, anche in un ipotetico discorso di insediamento di Enrico Letta, per non dire di Giuseppe Conte o Matteo Salvini. Stupisce al contrario che la premier abbia ribadito che il suo “motto sarà: ‘non disturbare chi vuole fare’”. È vero che Meloni ha usato la dizione “libero mercato” solo una volta e in senso spregiativo, associandola alle concessioni per autostrade e infrastrutture e ai presunti “oligarchi” che ne beneficiano. Altrettanto vero è che ha insistito, più e più volte, sulla parola “libertà”, provando a comporre un piccolo pantheon ideale. Se l’eredità del passato sta nel rifiuto della violenza politica e nel ricordo dei militanti che ne sono stati vittima, Meloni ha citato Papa Francesco in chiave anti-assistenzialista, come fautore del lavoro e non del reddito di cittadinanza. Non è stato un tentativo di rimozione di temi e parole d'ordine del centrodestra degli ultimi trent’anni. Semmai, una sintesi, rivista e corretta, della sua esperienza. Dove il punto segnaletico più forte restano le riforme istituzionali, presidenzialismo e federalismo assieme: come il centrodestra va promettendo dal 1994.Non impegni, quindi, ma una prospettiva d’insie me. Però la premier un impegno l’ha preso. In Italia un pezzo importante dell’opinione pubblica continua a illudersi che la risposta alla pandemia del nostro governo (la più dura e restrittiva dell’Occidente) sia stata efficace. Per questo quello stesso segmento dell’opinione pubblica non considera l’importanza che ha avuto il Covid-19 nel successo elettorale di Fratelli d’Italia. Che invece ha raccolto consenso anche, forse soprattutto, perché Meloni si è opposta alle ricette del governo Conte. Ecco, ieri Giorgia Meloni ha promesso che non ci saranno nuovi lockdown: anche in presenza di una nuova “ondata”: “non replicheremo in nessun caso quel modello”. Accusata di simpatie per sistemi politici democratici ma poco liberali, il consenso per Meloni viene anche dal suo avere difeso la libertà concreta degli italiani.

Direttore dell’Istituto Bruno Leoni

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