Superbonus o supermalus? La grande corsa al 110% degli anni scorsi rischia di trasformarsi in un pesante fardello per le famiglie italiane che ne hanno usufruito. Non solo perché è stato deciso di tagliare l’agevolazione, con un cambio di rotta che era largamente previsto da quando i Cinque Stelle hanno lasciato Palazzo Chigi e soprattutto si è insediato al governo il centrodestra guidato da Giorgia Meloni. E fin qui, appare anche lineare che ci sia un cambio di rotta: peraltro, il Superbonus ha appesantito non poco i conti pubblici.

O ggi la manovra messa a punto dal ministro Giorgetti (la prima vera del nuovo Governo visto che quella dello scorso anno in gran parte fu tecnica ed ereditata dal predecessore Mario Draghi) deve muoversi in un canale molto stretto per evitare che il debito pubblico e la spesa dello Stato crescano a dismisura. Da qui la decisione di tassare pesantemente la casa, in particolare quegli immobili che hanno usufruito delle agevolazioni. Il Governo ha pensato, infatti, non solo di tassare al 26% e non più al 21% chi affitta per fini turistici una casa (a partire dalla seconda in su, quindi se si possiede solo un immobile e lo si affitta nessun incremento di imposta con la cedolare secca), ma anche di penalizzare chi ha utilizzato il Superbonus. Se qualcuno lo ha fatto e poi ha deciso di vendere la casa, sulla plusvalenza pagherà il 26% di tasse. E se fino ad ora i costi della ristrutturazione erano deducibili, da ora in avanti non lo saranno più per i prossimi cinque anni, mentre dal quinto al decimo anno, soltanto al 50%. Qualcuno dirà di certo che sono provvedimenti giusti perché restituiscono allo Stato, e quindi alla collettività, ciò che è stato concesso dai precedenti governanti appesantendo i conti pubblici. Giusto, se non fosse che si trattava di una legge dello Stato, non di un’apertura straordinaria e non prevista delle porte di un grande magazzino con la raccomandazione che non si può toccare nulla altrimenti dopo qualche anno arriva il conto a casa.

In altri termini, se è legittimo che il Governo cambi rotta sulla politica delle agevolazioni, è altrettanto giusto che lo faccia chiedendo ai cittadini indietro i soldi che ha distribuito fino a quel momento? Non si tratta, come accaduto con le banche, dello stesso ragionamento fatto sugli extraprofitti. In quel caso, infatti, gli utili miliardari degli istituti di credito sono dovuti soprattutto al fatto che la Bce ha alzato i tassi, creando un disallineamento tra quello che viene chiesto per remunerare un mutuo e quello che viene dato ai risparmiatori per i depositi. Nel caso del Superbonus il ragionamento è diverso: ti ho dato dei soldi, non avevo previsto che i costi salissero così tanto, quindi me li riprendo. In mezzo, però, ci sono i cittadini che non hanno fatto altro che prendere atto della possibilità di ottenere degli aiuti, utilizzarli e ora, forzatamente, pagarne le conseguenze. Che peraltro potrebbero essere a doppio taglio anche per lo Stato. I bonus edilizi hanno dato un grande contributo per ridurre il nero nel settore, mettendo in contrapposizione il cliente con chi fa i lavori e facendo emergere una buona fetta di sommerso. Se in futuro le aziende, come previsto dalla manovra, dovranno versare l’11% come trattenuta sul bonifico parlante previsto per pagare i lavori agevolati, invece dell’8%, magari qualche impresa andrà dal cliente e dirà: “Senti, facciamo così, ti riduco il preventivo dell’Iva e taglio anche l’11% che devo versare sul bonifico e le altre tasse, e tu mi dai i soldi in nero”. Il cittadino ci guadagna solo in apparenza, perché rispa rmia ma costringe lo Stato a fare i conti con minori introiti e quindi anche con minori servizi da assicurare a tutti, così come lo stesso discorso vale per l’impresa. E lo Stato perde sicuramente due volte. Quindi attenzione a demonizzare le agevolazioni, va bene cambiare rotta, ma è pericoloso toccare i diritti acquisiti ai cittadini.

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