S popolamento, stagnazione, declino delle retribuzioni e crisi ambientale sono alcune tessere del mosaico che rappresenta la penisola italiana al quale, in alcune regioni del Sud, vanno aggiunte quelle della denatalità e del maggior numero dei pensionati sugli occupati. È il ritratto di una nazione fragile che potrebbe peggiorare ancora, secondo le previsioni del JCR, il Centro comune di ricerca della Commissione europea, se vi si aggiungono le conseguenze dell’innalzamento delle temperature. Con lo spopolamento fanno i conti soprattutto le zone interne.

S ono quei territori dove non si raggiungono facilmente servizi essenziali come sanità, scuola e trasporti, problemi che sono dei borghi come degli ex distretti industriali e delle zone costiere di qualunque latitudine. Non necessariamente territori poveri perché la marginalità è legata alla lontananza dei servizi più che alla geografia del territorio o al reddito. Da un lato. Dall’altro occorre considerare l’effetto del progressivo invecchiamento della popolazione, evidente fin d’ora sul sistema scolastico e sul mercato del lavoro, nel futuro - è facile prevederlo - ancora più marcato. Questo è quanto si legge nel Rapporto 2023 dell’Istat sulla situazione del Paese.Attualmente circa 1,7 milioni di giovani, quasi un quinto di chi ha tra 15 e 29 anni, non studia, non lavora e non è inserito in percorsi di formazione (i cosiddetti Neet). Ma ciò che colpisce è la mancata crescita della popolazione rispetto al processo di invecchiamento, per il quale, nei prossimi 5 anni, quasi il 12 per cento degli italiani lascerà definitivamente il posto di lavoro per raggiunti limiti di età con sempre meno giovani destinati a entrare nel mercato del lavoro. Rimpiazzarli anche solo in parte, diventerà un problema per tanti imprenditori. Lo certifica l’Ufficio studi della Cgia di Mestre. Tra il 2023 e il 2027, ad esempio, saranno necessari circa tre milioni di addetti in sostituzione di quanti si avviano alla pensione. Il ricorso all’immigrazione, oggi tema di grande attualità, è contemplato nelle varie analisi. Occasione di scontro ideologico, dovrà tuttavia essere affrontato guardando ai riverberi sull’economia del Paese anche con l’accesso di personale qualificato nei vari comparti produttivi. Negli ultimi dieci anni la contrazione della popolazione giovanile italiana ha interessato, in particolar modo, il Mezzogiorno con 762 mila unità (15,1 per cento). A livello regionale, invece, è stata la Sardegna con il -19,9 per cento a subire la flessione più importante. A livello provinciale, negli ultimi 10 anni è stato il Sud Sardegna con il -26,9 per cento, quindi Oristano con il -24 per cento.

Oltre alle cause sopra citate, le ragioni della denatalità e dello spopolamento si compongono dentro il perimetro sia delle mancate opportunità lavorative che degli stipendi adeguati alle specializzazioni, ma anche della scarsità di attrattive cui i giovani sono sensibili. È perfino banale affermare che i maggiori vantaggi sono offerti dai grandi centri, così come insegna il fenomeno dell’urbanesimo e dello spopolamento delle campagne fin dai tempi più antichi. E in tutto questo ecco la norma nazionale sul dimensionamento scolastico che prevede l’accorpamento e la chiusura delle scuole con meno di 900 studenti e la possibile riduzione di circa 40 autonomie scolastiche. Di fronte a questi dati non consola affatto pensare che non siamo soli nella disgrazia. Viceversa, si ricompone davanti agli occhi l’immagine dell’“Isola bella e infelice”, coniata per la Sardegna da Paolo Mantegazza, biologo, antropologo, senatore del Regno e componente, nel lontan o 1869, della Commissione d’inchiesta sulle condizioni morali ed economiche dell’Isola. Se la bellezza è un destino che da sempre accompagna la Sardegna, la realizzazione della sua “felicità” è nelle mani di chi la governa, non solo nel suo territorio, ma in Italia e in Europa.

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