S i respira aria pesante. Anche in Sardegna. Si percepisce preoccupazione, insicurezza e ansia. Soffiano venti di guerra, in Europa e nell’intero bacino del Mediterraneo, nelle cronache, nel linguaggio quotidiano, nelle crescenti ideologie insofferenti alle libertà, alla solidarietà umana. Al contempo vengono meno, progressivamente, i valori di pace, che mettono la vita sopra ogni cosa, che promuovono la dignità della persona e la cultura del rispetto. Nonostante questo e la diffusa indifferenza si sente bisogno, finalmente, della politica che conta.

S i avverte la necessità di un’ampia partecipazione popolare, di protagonismo delle persone che vivono il quotidiano della disoccupazione, delle retribuzioni inadeguate, dell’affitto eccessivo per un tetto.

All’avvelenamento da cinismo e da volgarità degli scontri-spettacolo in telediffusione con cui è stata colpita la nostra democrazia, si è aggiunta la mortificazione dell’impegno delle lavoratrici e dei lavoratori, delle donne e degli uomini che prima animavano sindacati e partiti. Questi ultimi da troppi anni subiscono una pesante e irriducibile campagna di demolizione mirante a far coincidere la critica rigorosa ai comportamenti di qualche spregiudicato dirigente, con storia e funzione del partito a cui appartiene. Anche in questo si sostanzia il tentativo reazionario di sopprimere in via di fatto l’articolo 49 della Costituzione, che sancisce il diritto dei cittadini di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.

In Sardegna si avvicina velocemente la scadenza dell’attuale legislatura. Evito di sottolineare la crisi profonda nella quale è finita l’autonomia regionale, offesa da troppo tempo dalla sudditanza interessata di certe Giunte e dall’arroganza crescente di neocentralismi politici e burocratici.

Quello che credo interessi la nostra comunità, in tutte le sue componenti sociali, del lavoro e dell’impresa, è la costruzione e la realizzazione di un vero progetto di “rinascita” dell’Isola, per uscire rafforzati, piuttosto che feriti, dalla fase delle recenti emergenze e da quelle dell’antica arretratezza.

“La rinaturalizzazione” ci appare il terreno del futuro. Non solo contrastare l’inquinamento ma promuovere il progressivo risanamento dei fattori naturali, allontanare il pericolo della desertificazione demografica e ambientale del nostro territorio.

Per questo occorre la partecipazione attiva delle comunità locali, un “piano generale” testato sui bisogni, le potenzialità, le risorse e le vocazioni produttive dei luoghi. Ridefinire in questo quadro i temi della sostenibilità ambientale e sociale, dell’insularità, dell’architettura dei poteri politici autonomistici. Serve innovazione coerente con la qualità ambientale dei processi non meno che dei prodotti, costruzione di canali di commercializzazione dei beni di qualità, promozione di progetti per l’eco-certificazione. Conquistare il diritto effettivo alla mobilità di persone e merci.

Un’idea che vuole la Sardegna “terra di pace e amicizia tra i popoli”, possibile piattaforma di dialogo euro-mediterraneo, connessa e collegata, sede di ricerca, sperimentazione e realizzazione di economia e società ecosostenibili, di lavoro buono e stabile. Per questo non si può prescindere dall’unità tra le forze sarde democratiche, progressiste, socialiste, ecologiste, dell’autonomia e dell’autogoverno, attorno ad unico progetto. Non si può prescindere dall’unità dei soggetti politici in una nuova configurazione, federalista sia nella relazione tra loro che nei rapporti con i propri riferimenti italiani ed eur opei.

Non si tratta più di sconfiggere una maggioranza politica, anacronistica e in crisi, lontana dai bisogni della nostra gente. Neppure di garantire una vittoria elettorale ad uno schieramento di partiti e liste alternative. Si tratta di costruire insieme un futuro migliore per tutti i sardi.

Già senatore del Gruppo Misto

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