I n Italia, governo e opposizione passano il tempo a criticare la Banca centrale europea. I politici dovrebbero moderare i toni. Questo non tanto perché la Banca centrale europea detiene all’incirca un terzo del debito pubblico italiano e quindi prudenza vorrebbe che evitassimo di irritare un creditore così importante. Ma soprattutto perché la banca centrale è un’istituzione indipendente. Quest’indipendenza è un valore, proprio perché sappiamo che i governi tendono a piegare la moneta al proprio interesse di breve termine.

L a Bcw guidata da Christine Lagarde ha senz’altro i suoi limiti. I banchieri centrali sono esseri umani come tutti gli altri. È però paradossale attaccare la Bce perché sta facendo, finalmente, il suo mestiere: cioè provare a riportare l’inflazione al 2%, come prescrive il suo mandato. A Francoforte si può rimproverare una comunicazione confusa e, soprattutto, un ritardo eccessivo nell’aumentare i tassi di interessi. Questi ultimi sono stati troppo a lungo pari a zero o negativi. È bene chiarirsi che si trattava di una novità assoluta nella storia del mondo. Ci sono buone ragioni per cui il tasso d’interesse (che possiamo intendere come il tasso di cambio fra presente e futuro) sia più basso in società tecnologicamente avanzate di quanto non lo fosse in precedenza. Ma per tutta la storia dell’umanità non si erano mai visti dieci anni di tassi d’interessi zero o negativi. I governi applaudivano e si indebitavano allegramente. L’1% più ricco applaudiva anche lui, godendosi i corsi di borsa.

Dopo le ripetute iniezioni di liquidità seguite alla crisi finanziaria, il mondo occidentale ha dovuto assorbire una overdose di quattrini senza precedenti, con la pandemia. Appena l’economia è ripartita l’inflazione, che a lungo aveva riguardato soltanto gli asset, ha raggiunto i beni di consumo. Qualche giorno fa una collaboratrice di “Will” (un canale d’informazione su Instagram) ha fatto un esperimento interessante. Avendo ritrovato uno scontrino della spesa del 2016, è andata a rifare gli stessi acquisti. Il conto è passato da 28 a 53 euro, senza considerare la quantità delle merci comprate (talvolta ridottasi, a causa delle confezioni più piccole). L’inflazione resta superiore al 5% e tocca anche i consumi quotidiani.

Come fermarla? Non c’è altro modo che continuare con l’aumento dei tassi. La modalità scelta (ritocchi periodici e prevedibili) è discutibile ma è meglio di non far nulla, che è quel che vorrebbe il nostro governo e in particolare il ministro degli esteri (autonominatosi esperto di politica monetaria). Chi ha un mutuo a tasso variabile soffre? Senz’altro. Ma l’alternativa è fare soffrire tutti, cominciando da chi non ha un profilo finanziario abbastanza solido per comprare casa. I lavoratori a reddito fisso e i pensionati sono quelli per cui la tassa dell’inflazione è più alta.

Che possono fare i governi? La prima risposta è controintuitiva. Dovrebbero cercare di ridurre e non aumentare la spesa pubblica, perché ulteriori quattrini immessi nel sistema da parte loro accrescono ulteriormente l’inflazione. La seconda risposta è la più invisa allo spirito dei tempi: dovrebbero cercare di tutelare gli spazi della concorrenza, non di restringerli. Purtroppo il primo nemico di Francoforte oggi è Bruxelles. La politica di Ursula von der Leyen sulla transizione energetica sembra pensata per vanificare gli sforzi della Bce. Un solo esempio: nel corso dell’anno, il costo di un pannello solare fatto in Cina è diminuito del 20%. Un’ottima notizia, se vogliamo davvero affidarci sempre più al solare per la generazione di elettri cità. Von der Leyen però ha dichiarato guerra alle importazioni, in tema di fotovoltaico e batterie per le automobili elettriche. Questo significa che la transizione ecologica costerà sensibilmente di più di quanto potrebbe, creando nuova pressione sui prezzi di chiunque utilizzi energia.

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