I n Vietnam per lavoro, leggo “Quando le montagne cantano” di Nguyen Phan Que Mai, affidatomi da una persona che voleva restituirlo e invece è caduto mia preda (i libri non vanno mai prestati) dopo la lettura della prima pagina, succede. Il New York Times lo recensisce scrivendo che «attraverso l’appassionante epopea delle protagoniste, questo romanzo riesce, in più di un senso, a curare le ferite della Storia».

Non credo che le ferite della Storia possano essere curate da un libro – magari! – ma che invece si possa con un libro risvegliare le coscienze degli uomini di buona volontà. Circondato da una popolazione oltremodo gentile m'illudo dunque (spero non invano) che il futuro possa cambiare e comprendo il New York Times che cerca di riguadagnare sempre una nuova verginità, un giorno svelando le responsabilità storiche di Kennedy e Johnson; un altro analizzando i danni fatti dai governi Democratici negli Stati in cui detengono il potere; ancora svelando che anche gli Ucraini usano le bombe a grappolo e che gli Usa li aiutano a uccidere i generali russi. Oppure ritornando sugli orrori della guerra del Vietnam, emblematica. La forza di una democrazia è quella di riconoscere i propri errori, si continua a dire, ma è inutile confessare il proprio pessimo carattere se poi non lo si cambia (anzi, il persistere appare infine un segno di narcisistica arroganza).

La Nguyen non scrive comunque un libro di guerra, chiarisco, ma una saga familiare in un Paese attraversato da occupazioni, sfruttamenti, carestie, battaglie e stragi sino ai nostri giorni.

N ello sfondo, sì, ci sono anche i bombardieri americani che oscurano Hanoi, le distruzioni immani, sette milioni di tonnellate di bombe sganciate, tre milioni di morti. E passando tra risaie meravigliose verso il mare mi chiedo, in questi giorni in cui la guerra è tornata a sfiorarci col suo fiato di morte, se quei milioni di bombe fossero intelligenti (come ho sentito affermare da un generale in merito ai bombardamenti Nato usati per “esportare la democrazia”) oppure se fossero strumenti di cancellazione del nemico, come sempre pianificato dall’homo sapiens.

E proprio qui in Vietnam, riflettendo e guardando in faccia le persone, non riesco a convincermi dell'obiettivo che sembra ancora guidarci, di continuare la guerra costi quel che costi scivolando in un abisso, invece che cercare strenuamente la pace.

Consiglierei di leggere con passione “Vita e Destino” e “Stalingrado” di Valerij Grossman, i libri che sono considerati la rivisitazione di “Guerra e Pace” di Tolstoj, per toccare con mano cosa vuol dire essere coinvolti, come popolazione, in una guerra che chiamiamo convenzionale, pur se 80 anni fa non contemplava la tecnologia che oggi, purtroppo, ha portato a un drammatico livello l’efficacia distruttiva: i droni, i missili di svariati tipi, le bombe più sofisticate, i satelliti, ecc. C’è una toccante pagina di Grossman che descrive il passaggio dal prima della guerra al dopo come una frattura irrevocabile che da un momento all’altro si crea e s’allarga con cosmica velocità, senza possibilità di ritorno indietro. Non è difficile credere che per le popolazioni europee e italiana la guerra sarebbe definitivamente devastante – in Sardegna diciamo: non ce ne mandi Dio quante ne possiamo sopportare.

Per comprendere l'eventualità di una deriva atomica si guardi invece su YouTube il terrificante video “Nuclear war simulation - Nato vs Russia”, basato sui dati raccolti dalla International Atomic Energy Agency, IAEA. I tre momenti di guerra nucleare (180 milioni di morti nelle prime 24 ore), di fallout nucleare (con circa 600 milioni di morti) e poi di inverno nucleare porterebbero a un risultato quasi certo d'estinzione di tutto il pianeta – la nostra isola scomparirebbe, uomini, animali e piante, entro sessanta giorni.

Cosa fare invece? Abbassare i toni, ascoltare quanti invocano la pace, perseguirla con determinazione e coesione organizzando una nuova Yalta che fissi confini, zone di sicurezza, nuovi organismi di controllo. I tempi dell’emotività e dei duelli devono finire, non ci saranno appelli al nuovo suono di sirene.

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