N ella vicenda agghiacciante di Civitanova Marche c’è tutto quello che agita questa stagione oscura: il razzismo; la gelosia che diventa possesso; i migranti; i disabili; la malattia mentale; i passanti che riprendono con i cellulari invece di intervenire per salvare una vita. Non è facile districarsi, soprattutto quando la narrazione del primo minuto ha preso una strada precisa: bianco uccide nero dopo un apprezzamento alla sua fidanzata mentre tante persone sono lì, guardano e non intervengono, anzi, filmano col cellulare. Indifferenti, dunque complici.

Lo scenario è cambiato col passare delle ore e dei giorni, come spesso avviene ai tempi dei social dove tutto si consuma in fretta e, dall’ultimo leone da tastiera al commentatore professionista fino al politico, pare impossibile sottrarsi al commento istantaneo che un momento dopo è già superato. L’aggressione a sfondo razzista ha ceduto il passo alla follia, quella vera, che sarebbe addirittura certificata da un’invalidità psichica al cento per cento, e dalla nomina di un’amministratrice di sostegno, che poi è la madre dell’assassino, un’architetta cinquantenne che vive a 400 chilometri di distanza.

È dunque complicato entrare nel merito di una storia che soltanto un processo penale potrà chiarire nel dettaglio: la malattia mentale sarà oggetto di perizie, ma non solo. Se il giudice che ha mandato l’assassino in carcere – in quanto pericoloso e incline alla violenza – ha escluso l’aggravante del razzismo, non significa che non potrà essere contestata in un secondo momento. Le indagini servono proprio a questo, e necessitano di tempo.

Però: non siamo abituati ad aspettare, alcuni fatti ci colpiscono più di altri e dobbiamo dire la nostra perché ci appare tutto chiaro, sin da subito, anche se non lo è. Certo, un uomo bianco, giovane e forte, che si accanisce senza un motivo in pieno giorno per strada, davanti a tutti, su un mendicante nero che si appoggia a una stampella, fa pensare al razzismo, e la malattia mentale – va sottolineato – di per sé non lo esclude: un soggetto debole può assimilare la non cultura che distingue le persone dal colore della pelle. Pure il video, registrando l’aggressione e le voci di chi c’era, racconta di persone che si chiamano fuori sistemandosi sulla poltrona dello spettatore. Cinismo mischiato a una realtà virtuale che finge di sottrarli a quella reale: non è la prima volta, e non sarà neppure l’ultima, tutti si sentono cronisti, fotografano, riprendono, registrano e postano, un gattino che fa le fusa o un morto ammazzato, conta solo il numero di like.

Poi però la fidanzata del killer racconta un’altra storia: non c’è stato cat calling ma una richiesta insistente di elemosina, al punto che è stata afferrata per un polso: si è divincolata e tutto per lei era finito lì. Non si è accorta di quanto invece stava maturando nella testa del suo compagno, che sapeva affetto da disturbo bipolare ma, evidentemente, non la preoccupava. Si è distratta e non lo ha visto mentre tornava sui suoi passi per vendicare l’affronto. E le persone che hanno assistito? E quelle che hanno filmato? Perché non sono intervenute? Perché non li hanno separati? Perché hanno lasciato che un uomo venisse ucciso? Domande lecite alle quali ha dato una risposta chi ha gridato e chiamato la polizia: i testimoni erano quattro, una donna anziana, un uomo in età col cane e la ragazza del video, impossibile frapporsi, “quello era una furia”, così ha avvertito la polizia. Chi può smentirlo?

Bisogna trovarsi nelle situazioni, basti ricordare cosa è successo – con minore eco mediatica, non tutti i delitti sono uguali, sic - in provincia di Avellino, dove un commerciante cinese è stato assassinato a martellate da un ventenne nigeriano. Un terzo che ha provato a mettersi in mezzo è gravissimo in Rianimazione. Direte: ma si può girare un video mentre uno ammazza un altro? Che cosa abbia spinto la ragazza a riprendere la scena solo lei può saperlo, gli inquirenti intanto l’hanno ringraziata, perché attraverso quelle immagini si sa che cosa è successo e la legittima difesa invocata dall’aggressore è presto caduta. E allora: ha reso un servizio alla giustizia, dunque alla collettività, o è una persona senza umanità, che sta solo pe nsando a raccogliere like sui social con un video visto da tanti e da tanti altri rifiutato?

Razzismo, indifferenza, cinismo, complicità, stupidità? Ci può essere tutto in questa vicenda, ma anche no. Ed è giusto sollevare il livello di guardia e stare vicini alla vedova del mendicante ammazzato: chiede giustizia, vuole guardare negli occhi l’assassino e chiedergli perché ha ucciso. Ma c’è anche un'altra emergenza: i malati psichici. La legge Basaglia ha chiuso i manicomi, giustamente, e ha lasciato le famiglie - come in questo caso - a gestire un problema spesso enorme.

Se il razzismo è un’emergenza va combattuta, abbia o no armato le mani del killer di Civitanova. Intanto ricordiamoci che la malattia mentale è un problema gigantesco, e non può essere delegato alle famiglie.

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