I l 2022 si chiude nel segno delle armi a dieci mesi dall’inizio dell’attacco all’Ucraina. Per la prima volta Putin in un suo discorso ha usato la parola “guerra”, violando il divieto imposto alla popolazione dalla legge sulla censura.

Sinora il Cremlino ha sempre definito l’invasione come un’«operazione speciale», quasi a voler declassare una devastante missione che ha già causato oltre centomila tra morti e feriti di entrambe le parti.

Gli esperti statunitensi ancora si interrogano (come ha affermato la Cnn) se il leader abbia pronunciato il termine per errore oppure per vedere se vi saranno reazioni della popolazione russa, già allarmata dalla parziale mobilitazione di 300 mila uomini.

La guerra non finirà a breve e nessuno ha manifestato serie e concrete proposte per sedersi al tavolo di pace. L’unica possibilità intravista dalla diplomazia internazionale per avviare una qualsiasi trattativa per fermare le bombe è che quel tavolo sia aperto alle Nazioni Unite a cui, peraltro, Zelensky ha chiesto di escludere la Russia dalle cinque potenze del Consiglio di sicurezza nel quale basta un veto per bloccare ogni azione. Quindi per ora totale stallo, altro che descalation.

P utin sta rafforzando le sue relazioni col dittatore amico Lukashenko e ammassando truppe in Bielorussia per far temere un nuovo tentativo di offensiva dal nord verso Kiev. Insomma, lo Zar non molla e ogni giorno rilancia con minacce e propaganda in attesa di mostrare le sue reali intenzioni.

Il 2022 era atteso come l’anno della rinascita, della fuoriuscita dalla pandemia e di una ripresa dell’economia mondiale messa in ginocchio da tre anni di Covid-19. Invece il 24 febbraio l’attacco all’Ucraina ha bruciato in un attimo tutte le speranze e le attese generali, spezzando il ciclo della pace che in Europa, pur tra tensioni e guerre limitate, durava dal 1945. Il colpo è stato durissimo. Gli Stati Uniti sono tornati in campo in grande stile riprendendo la leadership occidentale. I Paesi dell’Ue, compresa l’Italia, hanno cercato faticosamente un percorso diverso. Si sono schierati con convinzione con l’Ucraina, hanno inviato aiuti e armamenti, hanno accelerato lo sganciamento dalle fonti energetiche russe. Gli europei, seppure con posizioni non da tutti condivise in toto e con i vari distinguo, da una parte hanno provato a mantenere aperta la strada del negoziato e dall’altra hanno dovuto prendere atto del ritorno degli americani nel Vecchio Continente.

Il 2023 si apre con un mondo in totale ebollizione. Le notizie quotidiane dei tg sono spaventose. In Afghanistan è bastato appena un anno per cancellare tutte le speranze di una minima svolta dei nuovi padroni talebani. Il recente divieto alle donne di lavorare e studiare ha fatto ripiombare il Paese nel baratro di un medioevo infinito cancellando ogni illusione per il futuro. La repressione in Iran non si ferma, la teocrazia al potere a Teheran continuerà la strada del terrore consapevole che nessuno dall’esterno potrà aiutare, se non a parole, i coraggiosi dimostranti, giovani e donne in prima fila, disposti al sacrificio della morte e delle prigioni.

Nessuna speranza di pacificazione neppure in Siria con i milioni di esuli destinati a vivere nei campi profughi in Turchia o all’estero. Ma tutto il Medio Oriente divampa con il Libano devastato dalla bancarotta economica, l’Iraq appena visitato dalla nostra premier Meloni spaccato tra sciiti e sunniti, regni arabi sotto accusa per i diritti umani.

E anche l’unica vera democrazia dell’area, Israele, preoccupa sempre più dopo l’elezione per la sesta volta a premier di Benjamin Netanyahu, tornato al potere dopo un anno e mezzo di purgatorio a causa dei suoi problemi giudiziari. Per fare il governo ha imbarcato alleati che lui stesso aveva sempre considerato improponibili. Con loro a fianco sarà impossibile ogni passo di pace con i palestinesi. Il Financial Times lo ha definito “il governo più oltranzista e di destra nella storia dello Stato ebraico, più di quello rappresentato dalle cosiddette “democrature” dell’Est europeo, come l’Ungheria”.

In ultimo vediamo riesplodere le tensioni al confine tra la Serbia e il Kosovo settentrionale diviso tra cittadini di origini albanesi musulmane e 25 mila serbi cristiano ortodossi. B elgrado (con l’appoggio di Mosca) sta mobilitando le truppe, mentre i 1700 uomini del contingente Kfor della Nato (tra cui 800 italiani) si preparano a giorni di tensioni.

Un panorama drammatico per il nuovo anno, con conseguenze incalcolabili sull’economia globale e sui Paesi poveri del terzo mondo dove, se non le armi, avanzano carestie e siccità. E intanto dalla Cina si riaffaccia nuovamente lo spettro del Covid. Ci vuole davvero coraggio ad essere ottimisti.

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