L ’imprenditore di Desulo stava trasformando in realtà l’idea di un locanda ecosostenibile, l’operaio di Nuoro stava rimettendo in carreggiata la sua esistenza con un tirocinio che preludeva a una nuova vita. Sono gli ultimi di una lunga lista, persone uscite di casa per andare al lavoro e mai tornate.

Succede tre volte al giorno, dicono le statistiche nazionali, e non tutte le tragedie fanno notizia allo stesso modo. Ma domenica si è celebrata la giornata in ricordo delle vittime degli infortuni sul lavoro e il presidente della Repubblica, nel definire inaccettabile la situazione, ha ricordato che il nostro Paese ha posto il lavoro a fondamento della vita democratica.

Rileggiamolo il primo articolo della Costituzione. Dovremmo poter lavorare tutte e tutti, in sicurezza. Invece, oltre quelle sui morti ci sono le percentuali tremende sui feriti. Uno al minuto. Ogni sessanta secondi un lavoratore precipita, viene schiacciato, investito, infilzato, mutilato. Come a Dorgali, pochi giorni fa, dove un muratore è caduto in un cavedio, ed è salvo per miracolo o per caso o per fortuna, ognuno valuti come crede. Le stesse parole di Mattarella fanno venire i brividi, per quello che evocano.

I l presidente ha parlato dei diritti sui luoghi di lavoro come termometro della vita civile, generatori di valori per società, persone, imprese. E il primo dei diritti è quello alla vita. Ecco: bisogna addirittura sottolinearlo. Lavoro è vita, non morte. I numeri non restituiscono mai la realtà perché sono freddi, dietro ogni cifra ci sono invece la persona e i suoi familiari, uniti in un dramma che sconvolge l’esistenza. Però i numeri servono a capire: gli infortuni denunciati (dati Anmil) nel periodo gennaio-agosto sono 484.561 (2.019 al giorno), con un pauroso aumento del 38,7% rispetto ai 349.449 dei primi otto mesi del 2021. Le malattie professionali sono 39.367, con un incremento vicino all’otto per cento. E non è per nulla tranquillizzante il dato che vede diminuire del 12 per cento il numero di infortuni letali: 677 morti sono troppi per un Paese civile.

La Sardegna contribuisce a dipingere questo quadro nerissimo: gli incidenti sono aumentati del 36,3 per cento, Cagliari ha una crescita che supera addirittura l’ottanta per cento. Ossia, rispetto all’anno scorso ci sono stati 1.610 infortuni sul lavoro in più. Nel solo capoluogo. I morti nell’Isola a oggi sono sedici, in tutto il 2021 dodici.

Se ne parla da tempo ma, evidentemente, gli strumenti non bastano. La sicurezza sul lavoro dovrebbe essere una priorità anche in un mondo stordito dalla pandemia e frastornato dalle notizie su una possibile guerra nucleare ma nell’ultima campagna non è stato fra i temi più gettonati. Dovremo provare ad ascoltare le singole storie, perché le statistiche non riportano la sofferenza. Allora ben vengano libri come quello di Giusi Fasano, “Ogni giorno tre”: raccontando la vita dei morti sul lavoro ci mette brutalmente davanti alla devastazione delle famiglie di chi la mattina ha salutato dando appuntamento per la sera e invece della sua voce è arrivato un sinistro squillo del telefono.

Ogni tragedia è una storia a parte, meriterebbero di essere raccontate tutte, ma è vero che alcune colpiscono più di altre. Il caso del giovane rider morto a Firenze è una di queste: è stato investito durante una consegna, in nome della fretta, prendi-porta-torna-ricomincia. Per pochi euro. Al servizio non di un’azienda fatta di persone ma di un algoritmo. E così, quando ancora lottava in ospedale per la vita, sulla sua posta elettronica è arrivata una mail: “Gentile Sebastian, l’azienda intende offrire un’esperienza ottimale ai propri corrieri, partner e clienti. Per mantenere una piattaforma sana ed equa talvolta è necessario prendere dei provvedimenti quando uno di questi utenti non si comporta in modo corretto. Siamo spiacenti di doverti informare che il tuo account è stato disattivato per il mancato rispetto dei termini e delle condizioni. Se avrai ancora dei pagamenti in sospeso alla fine del prossimo periodo di fatturazione riceverai i dettagli dell’ultimo ordine. Molte grazie. Cordiali saluti”.

Il rider non era un lavoratore, ma un “utente” che doveva correre e consegnare, altrimenti fuori, subito, senza appello: account disattivato eq uivale a licenziamento.

Disumanizzazione e abbattimento di ogni diritto. Ha detto bene il parroco durante i funerali: «Viviamo in un sistema che accetta il predominio del denaro sulle persone e sulla società. Una dittatura dell’economia che non guarda i volti, che non ha obiettivi umani ma vive di un’insaziabile sete di denaro. Un attaccamento al denaro che è radice di tutti i mali. E quanto poco rispetto della vita umana in quella mail».

L’azienda si è poi scusata coi familiari: il messaggio è partito in automatico. Ed è proprio questo il brutto. Ma c’è anche il bruttissimo, nella frase del manager: «Nessun algoritmo impone di correre». C’è qualcosa di diverso nell’accusa contenuta nella frase sempre valida per le vittime di qualunque cosa, “se l’è andata a cercare”?

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