L’opinione come reato
J essica Notaro è una delle donne italiane sfregiate con l’acido da uomini che non tolleravano la fine della relazione. Intervistata in televisione da Maurizio Costanzo qualche mese dopo la tremenda aggressione, aveva raccontato di avere già denunciato l’ex per stalking: c’era stata un’indagine, il pubblico ministero aveva chiesto gli arresti domiciliari ma il gip aveva optato per un più blando divieto di avvicinamento.
Mosso da un desiderio di possesso quel bruto le si era invece avvicinato per lanciarle addosso il liquido che avrebbe cancellato la faccia della ragazza che non lo voleva più.
D avanti a questo drammatico racconto Costanzo aveva fatto un commento ironico, “complimenti a quel gip”. Non ne aveva fatto il nome ma, insomma, era decisamente identificabile. Tanto è vero che, sentendosi deriso, quel giudice aveva denunciato Costanzo per diffamazione aggravata. Il processo è andato a sentenza nei giorni scorsi: un anno di reclusione che l’anziano giornalista dovrà scontare a meno che non versi a titolo di risarcimento 40.000 euro al giudice diffamato.Un anno. Di carcere. Per un complimento ironico.
Ecco: questo è uno dei problemi del giornalismo in Italia. Non a caso il Bel Paese figura al 58esimo posto nella classifica stilata da Reporters sans frontières sulla libertà di stampa mondiale. Rispetto all’anno precedente abbiamo perso 17 posizioni. Come dire: si può sempre peggiorare.
Ora, per la pubblica opinione questa è una notizia poco rilevante, Costanzo è un uomo di successo, potrà pagare ed evitare il carcere. Ma non è così: questa è una notizia che riguarda tutti. Perché la libertà di espressione e di critica non è un diritto di Costanzo o dei giornalisti, o meglio, lo è, ma in quanto i giornalisti sono lo strumento attraverso il quale all’opinione pubblica viene garantito il diritto costituzionale a essere informata. A meno che non ci si fidi della disintermediazione dei social, e bravo chi riesce a fare lo slalom tra notizie vere, verosimili e false. I giornalisti italiani da tempo sono impegnati in una battaglia contro le azioni giudiziarie (querele-bavaglio) che mirano a farli tacere. Possiamo dirlo perché ci sono i numeri a testimoniarlo: oltre il 70 per cento delle settemila querele per diffamazione a mezzo stampa presentate ogni anno finisce con l’archiviazione in fase di indagini preliminari. Si dirà: se i giornalisti vengono assolti il problema qual è? Il problema è che la giustizia costa, gli avvocati pure. Costanzo e chi lavora in giornali o tv medio-grandi possono nominare un legale, ma le azioni giudiziarie temerarie colpiscono soprattutto giornalisti, e sono più del 60 per cento del totale, che sono aziende autonome, nel senso che hanno un sito di cui sono editori, direttori, redattori e magari pure agenti pubblicitari. Basta una querela per mandarli a gambe all’aria. Chi sbaglia, siamo d’accordo, commette un reato e deve pagare, ma ci sono sanzioni diverse dal carcere.
Se Maurizio Costanzo, per pura ipotesi, decidesse di non versare i quarantamila euro e di varcare la soglia del carcere, allora, sì, che finalmente forse si creerebbe in Italia un movimento di opinione capace di costringere il Parlamento ad abolire la detenzione per i reati di opinione. E finalmente l’Italia lascerebbe quel vergognoso posto in classifica. Ma è giusto un’ipotesi.