S ulle intercettazioni telefoniche ed ambientali viene condotta da molti quotidiani e televisioni nazionali, con il supporto di vari magistrati, passati all’opposizione politica, una insistente e martellante campagna marcatamente giustizialista contro la riforma che il ministro Nordio tenta di portare avanti con la condivisione della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

S fruttando impropriamente l’arresto di Matteo Messina Denaro si cerca di bloccare quei correttivi ancor più necessari dopo il caso Palamara. Nel merito tali gruppi di opinione mirano a privilegiare in modo incondizionato la possibilità di dare notizie su qualsiasi indagine penale appena avviata, pubblicando notizie sulla vita privata di migliaia di cittadini, come è proprio non di uno stato di diritto ma di uno stato di polizia.

A fronte degli oltre 95.000 casi di intercettazioni in un anno in Italia (5.000 e 9.000 rispettivamente in Germania e Francia) è però evidente che dovrebbe essere auspicabile una drastica riduzione delle intercettazioni anche in Italia (ovviamente non per i reati di mafia) che oggi comportano una spesa di oltre 200 milioni annui e che quasi sempre sono riferite a reati ordinari, incomparabilmente superiori per numero a quelli di mafia. Il tutto avviene con una grave violazione della Costituzione: l’articolo 27 sulla presunzione di innocenza e l’articolo 15 sulla inviolabilità della “libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione” che infatti per Costituzione possono essere limitate, con le garanzie di legge, solo per esigenze di giustizia, da un provvedimento adottato, e non solo controfirmato, da un giudice. Ed a scapito del fatto che la legge, a tutela del principio di presunzione di innocenza (vincolo europeo) consente solo al Procuratore capo, con comunicato o con conferenza stampa, se sussiste motivatamente un interesse pubblico, di dare notizia delle indagini che peraltro deve attribuire impersonalmente alla Procura della Repubblica.

È comunque evidente che i due profili, quello di autorizzazione delle intercettazioni per esigenze di giustizia, e quello della loro pubblicizzazione, sono tra loro totalmente diversificati, perché potranno pur sempre esservi intercettazioni che non devono essere pubblicizzate, e perché diversa è la loro tutela costituzionale. Che il problema vi sia, però, è sotto gli occhi di tutti, ed è un problema posto non solo dagli avvocati e dalle camere penali, ma che dovrebbe essere proprio di tutti gli operatori del diritto responsabili, sia magistrati che giornalisti, oltre che avvocati, anche perché attualmente, pur dopo le riforme Orlando e Bonafede, non sono sanzionate le continue violazioni delle regole attuali da parte di giornalisti ed operatori del diritto. Il problema centrale per la democrazia italiana, quindi, non è oggi quello di moltiplicare le intercettazioni da rendere pubbliche, ma quello di riuscire a rispettare i fondamentali principi costituzionali definendo legislativamente un giusto equilibrio tra diritto costituzionale all’informazione e presunzione di innocenza ed inviolabilità del segreto delle comunicazioni.

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