L a pagella sull’Italia è arrivata. Venerdì, puntuale alle ore 22 e con i mercati chiusi, l’Agenzia internazionale di rating Standard and Poor’s (S&P) ha comunicato il rating creditizio sull’Italia. Il rating è una valutazione complessiva formulata da una agenzia indipendente sulla capacità di un debitore di onorare i propri debiti e, in tal caso, si parla dei debiti del nostro Paese. In sostanza, si tratta del voto finale assegnato da un soggetto autorevole sulla affidabilità creditizia dell’Italia. Come per tutte le pagelle, la sua attesa è stata accompagnata da una certa ansia del mercato finanziario.

A nsia motivata anche dalla recente manovra finanziaria del Governo e dalla decisione di accrescere il debito. S&P ha confermato il giudizio che aveva espresso in primavera, si tratta di un rating “BBB con outlook stabile”. I rating sono espressi solitamente da lettere nell’ambito di una determinata scala. Il rating “BBB” significa che l’Italia è collocata al primo gradino dei rating di alta qualità, appena più in basso ci sono quelli di bassa qualità. L’Italia è pertanto al confine tra i rating “buoni” e “quelli” cattivi. La conferma del rating BBB è pertanto una buona notizia perché conferma nel complesso lo standing (livello) creditizio del nostro Paese, non tale da farci sconfinare nella zona dei rating “pericolosi”.

Secondo l’Agenzia, la crescita del PIL tornerà al di sopra dell'1% verso il 2025, dopo un biennio di rallentamento, dopo una decelerazione nel periodo 2023-2024, dovuta principalmente alle peggiori condizioni di finanziamento, all'inflazione elevata e al calo della domanda esterna. Un fattore cruciale per mettere in moto la macchina del PIL, dice la S&P, sono i fondi europei del Next Generation EU, sui quali si raccomanda di andare più spediti nella loro spendita. Il basso tasso di spesa di questi fondi non è solo un problema I’Italia ma è una criticità comune nei Paesi dell’Unione Europea. Secondo S&P sarà concessa una proroga per il loro utilizzo.

L’agenzia però avverte che dato l'elevato livello del debito pubblico, l’Italia rimane particolarmente sensibile a un deterioramento delle condizioni di finanziamento, che potrebbe pesare ulteriormente sulla sua performance di bilancio. Il debito pubblico netto in rapporto al PIL diminuirà dell'1% del PIL entro il 2026, raggiungendo il 132% del PIL, ancora al di sopra dei livelli pre-pandemia del 126%.

Secondo le analisi dell’Agenzia, la ricchezza netta delle famiglie è pari a oltre diecimila miliardi di euro. Inoltre, sebbene il debito pubblico sia molto elevato, il debito delle famiglie e imprese (settore non finanziario) è tra i più bassi del G7, pari al 106% del PIL. L’Italia sta anche vivendo tendenze demografiche in declino e in invecchiamento, che hanno implicazioni significative per le finanze pubbliche e per la crescita economica.

Il “voto” di S&P potrebbe diventare più favorevole se i risultati del bilancio dell’Italia migliorassero, per politiche di riduzione del deficit oppure per una crescita economica più forte del previsto, che porterebbe a una riduzione del debito pubblico in rapporto al PIL. Al contrario, il rating potrebbe essere declassato nel caso in cui le politiche di bilancio del governo si discostassero significativamente dagli obiettivi dichiarati. Ad esempio, una attuazione parziale delle riforme strutturali economiche e di bilancio, soprattutto di quelle legate all’erogazione dei fondi UE, avrebbe un impatto negativo sulla crescita economica e sulle finanze pubbliche, esercitando di conseguenza una pressione al ribasso sul rating.

Dopo il giudizio dell’Agenzia S&P, toccherà alle altre Agenzie internazionali esprimersi con le propr ie valutazioni. Il 27 ottobre, sarà il turno di DBRS, 10 novembre si esprimerà Fitch, e, infine, il 17 novembre, Moody’s formulerà il suo “verdetto”. Speriamo bene.

Università di Cagliari

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