S i discute molto sulla fuga dagli arresti domiciliari, dove si trovava con il braccialetto elettronico, di Artem Uss, il 40enne imprenditore russo, figlio del governatore siberiano Alexander Uss, un oligarca molto vicino a Vladimir Putin. Il giovane lo scorso 22 marzo si è tranquillamente allontanato dall’abitazione di proprietà della moglie a Basiglio, nei pressi di Milano, dove si trovava agli arresti domiciliari perchè ricercato dalla giustizia di ben due Paesi. Infatti, era stato arrestato il 17 ottobre a Malpensa, su richiesta avanzata dagli Stati Uniti, per due imputazioni.

E ra accusato di violazione dell’embargo inflitto al Venezuela e riciclaggio del petrolio estratto nello stesso Paese sudamericano. Ma nei confronti dell’imprenditore russo gravava anche una precedente richiesta di estradizione trasmessa all’Italia dalla Russia il 9 novembre.

Dopo la clamorosa evasione dagli arresti domiciliari, da una parte si accusa il ministro della giustizia Nordio di non aver trasmesso la nota del dipartimento della Giustizia statunitense, che segnalava il pericolo di fuga del ricercato, alla Corte d’appello di Milano, che doveva decidere se lasciare l’estradando agli arresti domiciliari, oppure imporgli la custodia in carcere. Dall’altra, si obietta che non è il ministro a decidere sullo stato detentivo dell’estradando, ma la Corte d’appello, la quale deve eventualmente richiedere ulteriori informazioni prima di decidere. Ovviamente non si verrà mai a capo della questione e nessuno sarà riconosciuto responsabile, come sempre capita in Italia, quando si assiste al classico “scaricabarile”, per cui ognuno rimanda all’altro la responsabilità della fuga. Ma quel che è certo è che, dopo la clamorosa evasione, resta la “figuraccia” internazionale per la giustizia italiana, che già non godeva di un’ottima fama.

Sapevamo già che si evade dai nostri penitenziari come si esce da un centro commerciale; sapevamo già che in Italia vi sono latitanti che, da più di vent’anni, sono uccel di bosco. Ma questa vicenda è ancora più inquietante. Infatti, al fondo della questione, all’uomo della strada sorge spontanea una domanda: ma com’è possibile che un indagato, sottoposto agli arresti domiciliari con l’imposizione del braccialetto elettronico, possa allontanarsi dalla sua abitazione, o manomettere il dispositivo, arrivare fino al più vicino aeroporto e imbarcarsi senza che il braccialetto segnali l’allontanamento o la sua manomissione e nessuno intervenga ? Come è possibile che le forze di polizia, incaricate di controllare il funzionamento del dispositivo, non si siano accorte della fuga e non l’abbiano impedita ? Com’è possibile nel nostro Paese salire su un aereo senza un controllo dell’identità del viaggiatore, anche quando si tratta di un ricercato internazionale ? Si fa un gran discutere di riservare il carcere ai casi estremi, ricorrendo più spesso agli arresti domiciliari, misura alternativa resa sicura proprio dal braccialetto elettronico: e questa è una rivendicazione giusta e costituzionalmente corretta. Ma se poi questo dispositivo non funziona e non assicura la presenza del soggetto nella sua abitazione, oppure chi deve monitorarne il funzionamento non controlla o comunque non interviene, il pericolo, purtroppo, è che avrà buon gioco chi reclamerà a gran voce la galera per tutti gli imputati.

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