L a corsa all’aumento dei prezzi non accenna a fermarsi, come è evidente ogni qualvolta andiamo a fare la spesa o ci concediamo il “lusso” di un cappuccino al bar. E mentre aumentano i costi quotidiani crescono anche le persone che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese. Guardando i dati Istat, infatti, nel 2014 erano circa quattro milioni e mezzo gli italiani che vivevano in povertà assoluta, cioè che non hanno una abitazione decente e di che mangiare e vestirsi. Nel 2021, l’ultimo anno per cui si hanno dati precisi, erano già saliti a più di cinque milioni e mezzo, quasi il 10% dell’intera popolazione.

U na cifra spaventosa, alla quale si devono aggiungere i più di otto milioni di nostri concittadini che vivono poco al di sopra della soglia di povertà assoluta. Persone che faticano a pagare le bollette, la mensa scolastica ai figli, che rischiano ogni mese di non poter pagare l’affitto. È una condizione che riguarda- secondo i dati forniti a fine 2022 dal Servizio studio e ricerche della Caritas sarda - circa 110 mila famiglie nella nostra regione.

Una situazione preoccupante, di cui troppo poco si parla nei palazzi del governo e delle pubbliche amministrazioni e che rischia di peggiorare dato che le prospettive per il futuro sono tutt’altro che rosee. Un conto, infatti, è vivere in un Paese con sacche di povertà ma in piena espansione economica, in cui i giovani trovano facilmente lavoro, in cui vi sono evidenti chance per migliorare il proprio tenore di vita. Un conto è l’Italia stagnante di oggi, dove si fa fatica a intravedere un miglioramento, soprattutto per le nuove generazioni, e dove si arriva a fine mese, troppe volte, grazie alla pensione dei familiari.

Il rischio è quindi che cominci ad allargarsi il perimetro delle cosiddette “nuove povertà”, cioè di quelle situazioni di vulnerabilità che improvvisamente possono spingere le persone al di sotto della soglia di normale sopravvivenza. In una società fragile può capitare infatti che persone fino a quel momento inserite nel circuito del lavoro e del consumo, si trovino prive di capacità economiche a causa della perdita dell’impiego oppure per una malattia improvvisa. Oggi, non certo a caso, molti dei nuovi poveri rientrano nelle famiglie monogenitoriali, in cui è rimasto uno solo dei genitori a sobbarcarsi il peso del sostentamento di tutto il nucleo, o nel novero di quelle colpite economicamente dalla precarietà del lavoro, situazioni che compromettono la serenità quotidiana e i progetti per il futuro.

Di fronte a queste situazioni è giusto intervenire per contenere le emergenze. Quindi ben vengano aiuti da parte dello Stato e di enti assistenziali. Gli slanci e la buona volontà però non possono bastare. Le povertà vanno però combattute alla radice mettendo le persone nelle condizioni di ritrovare un lavoro, di recuperare le basi economiche con le quali sostenersi e quindi ritrovare anche la dignità e l’orgoglio di poter nuovamente camminare sulle proprie gambe.

Insomma, dobbiamo renderci conto che la grande sfida è quella di rivitalizzare i settori occupazionali e offrire nuove prospettive ai tanti italiani in difficoltà. E per ottenere questo risultato noi italiani dobbiamo recuperare una qualità che sembriamo aver perduto negli ultimi decenni: la volontà di agire in comune, di fare fronte compatto.

L’Italia manca di senso di comunità e pare sempre volersi affidare ai soliti slanci volontaristici individuali. Manca, invece, quella tensione sociale che porta a crescere tutti assieme. Così il sud arranca, il centro ristagna e il nord del Paese pensa sempre di più al “proprio particulare”. In questo contesto, chi ha rendite di posizione e privilegi fa di tut to per conservarli, incurante che il resto del Paese annaspi. L’Italia comincerà veramente a svoltare soprattutto quando questi egoismi e queste miopie cominceranno a scomparire.

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