M ercoledì scorso Putin ha fatto una mossa azzardata per rivalutare il rublo, che era in caduta libera. Ha imposto il pagamento in rubli del gas esportato dalla Russia, disorientando il mercato e tutti i Paesi importatori. A parte la sua illegittimità, ribadita anche da Draghi, la mossa viene interpretata come il tentativo forzato di evitare un fallimento dello Stato. Ma funzionerà? I dubbi sono legittimi, dopo gli antefatti della scorsa settimana. Il 17 marzo erano in scadenza 117 milioni di dollari di cedole su due obbligazioni pubbliche.

I l ministro delle Finanze, Anton Siluanov, aveva offerto di pagare in rubli, ma ciò sarebbe equivalso, come ha stigmatizzato l’agenzia di rating Fitch, a una dichiarazione d’insolvenza. Data l’esiguità della cifra, non era difficile per Putin onorare il debito anche in dollari, ma le sanzioni occidentali prese come ritorsione all’invasione dell’Ucraina, che hanno reso molto difficile alla Russia l’accesso al mercato internazionale dei capitali, di fatto impedivano al governo il servizio diretto del debito pubblico in valuta forte. Nessuno dei contratti sottostanti ai bond in scadenza prevedeva infatti il pagamento in rubli.

La ragione per la quale Siluanov offriva di pagare in rubli era dovuta al fatto che le sanzioni imposte alla Russia hanno congelato circa 300 dei 640 miliardi di dollari delle riserve della banca centrale russa. Perciò, la possibilità concreta di un default di Mosca a questo punto è diventata probabile. A rischio per la Russia ci sono circa 310 miliardi di dollari di debiti delle aziende verso l’estero, 75 miliardi di passivo delle banche e 67 miliardi di bond governativi. A tutti questi debiti si applicano le limitazioni imposte dalle sanzioni occidentali, ma c’è il rischio che il problema si allarghi ad altre posizioni critiche di Mosca, che ha debiti complessivi verso l’estero per poco meno di 500 miliardi. Gli investitori esteri si stanno preparando al default da quando il mese scorso sono state imposte le sanzioni occidentali.

Nel frattempo, una nota di agenzia del 18 marzo ha riferito che il giorno prima Mosca aveva pagato i 117 milioni di dollari di interessi in scadenza sulle obbligazioni in mano agli investitori internazionali stranieri. Lo ha confermato anche il ministero delle Finanze russe. Secondo l’agenzia Bloomberg, JPMorgan ha ricevuto il pagamento delle cedole in scadenza e dopo averlo elaborato ha inviato i fondi a Citigroup, che ha il ruolo di agente di pagamento delle obbligazioni. Detto in altri termini, le sanzioni occidentali del blocco dei pagamenti russi sono state aggirate e, almeno per il momento, il fallimento formale di Mosca è stato evitato.

Le conseguenze di un default, almeno secondo la maggior parte degli operatori, non dovrebbero comunque avere un impatto eccessivamente grave sul sistema finanziario internazionale. I creditori e gli investitori, nella maggior parte dei casi, sono infatti i grandi gruppi del risparmio gestito come BlackRock e Pimco, che subirebbero perdite anche considerevoli, ma il sistema bancario dei Paesi occidentali nel suo complesso dovrebbe assorbirne gli effetti senza subire danni irreparabili, anche se le cifre del debito russo non sono di poco conto.

Secondo i dati più recenti, infatti, il sistema bancario francese è esposto al debito sovrano russo in valuta per circa 4 miliardi di dollari, l’Italia per 2 miliardi, gli Stati Uniti per altri 4, che rappresentano cifre ancora controllabili. Le due maggiori banche italiane, Intesa Sanpaolo e Unicredit, hanno una esposizione complessiva all’economia russa rispettivamente di 5,1 e di 7,5 milia rdi di euro, ma si tratta perlopiù di crediti alle imprese, non di debito sovrano in valuta. La Russia come Stato sovrano peraltro non è un protagonista sul mercato internazionale dei capitali e, con un rapporto debito/Pil di appena il 20%, l’ammontare complessivo del debito russo in valuta estera che potrebbe andare in default non è così spaventoso, in quanto ammonta a un totale di circa 40 miliardi, che possono essere gestiti dal sistema internazionale occidentale.

Università di Cagliari

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