D al rapporto del Crenos sull’economia della Sardegna appena diffuso, si evincono dati e considerazioni che meritano d’essere ripresi e su cui sviluppare dei ragionamenti e delle considerazioni. Non tanto su quel che è accaduto nell’anno passato, ma su quel che si potrà ottenere nel tempo a venire.

Sono gli stessi estensori a proporlo, ricordandoci di non cadere nella sindrome dell’uccello stupido, cioè di quell’albatros che ama atterrare guardando all’indietro, anziché a quel che l’attende dinanzi. Perché anche discutendo di economia occorre superare la tendenza a voler guardare solo ed ostinatamente all’’indietro, su quel che è già accaduto, anziché avere lo sguardo lungo, in avanti, per immaginare quel che servirà nel tempo futuro.

Così, per non fare come l’albatros, occorrerebbe lasciarsi alle spalle le pesanti negatività del passato per mettere insieme idee e proponimenti utili per ridare ossigeno e slancio ad un’economia sfiancata dalle troppe crisi. Ed è proprio questo il passaggio che ai ricercatori di Crenos è parso, per l’attualità regionale, assai difficoltoso, se non proprio impraticabile. A causa di un “ponte di comando” della Regione che appare impreparato ed inadeguato per programmare e realizzare una rapida ripresa. Per via di un organico composto quasi esclusivamente da competenze giuridico-amministrative, utili di certo per la gestione ordinaria, ma inadatte a predisporre piani di sviluppo e di progresso.

I ricercatori del Crenos ne hanno indicato giustamente le carenze, citando il fatto che di fronte alla mancanza di nuove idee progettuali, si siano riesumati vecchi fondi di magazzino, cioè degli interventi mai realizzati per le ragioni più varie, o ancora, in peggio, si sia dato via libera agli interventi di enti nazionali come Eni, Enel o Ferrovie, indipendentemente dalla loro compatibilità ed utilità. Non a caso, proprio in questi giorni si indicavano in una cinquantina le opere pubbliche regionali iniziate, lasciate a mezz’aria e mai portate a termine. Si è infatti sempre più convinti che il male maggiore della Regione, nella responsabilità di quanti ne sono stati alla guida in quest’ultimo trentennio, sia stato quello di aver via via ridotto l’autonomia ad una semplice e banale gestione dell’ordinaria amministrazione del presente, lasciando così allo Stato, con le sue frequenti latitanze e le sue pericolose intromissioni, il compito di imporci modalità ed itinerari per lo sviluppo. Eppure l’autonomia speciale, di cui siamo costituzionalmente dotati, vorrebbe altrimenti, indicandoci quali diretti responsabili del nostro destino. Ed i mali che affliggono l’isola non sono purtroppo pochi e le guarigioni non paiono di certo rapide e semplici. Crenos ne offre un utile dettaglio. Ad iniziare dallo spopolamento e dall’invecchiamento demografico che richiederebbero un riordino ed un riequilibrio socio-economico del territorio per superare diseguaglianze e disservizi. Altrettanto negativa viene ritenuta la presenza di imprese lillipuziane (riguarda i quattro quinti del totale, a fronte dei due terzi del dato nazionale) con livelli di produttività molto bassi, costo del lavoro e scolarizzazione dei lavoratori inferiore alla media e scarsa propensione all’export. Non dimenticando neppure l’impatto negativo della forte dipendenza del nostro Pil dalla spesa pubblica, soprattutto per l’intervento dell’Eni (con una quota del 40%), della Cassa Depositi e Prestiti (20%) e della Regione (8%); ed ancora dell’inadeguatezza, in competenze e conoscenze, del capitale umano disponibile, sia nel pubblico che nel privato. Le cause andrebbero individuate nella scarsa disponibilità delle imprese nel reclutare personale qualificato e in quel che si potrebbe definire il “disallineamento formativo” del nostro attuale sistema scolastico.

Perché proprio l’indisponibilità di competenze adeguate nelle nostre amministrazioni pubbliche appare come causa prima di queste insufficienze. Perché adeguate capacità di programmazione, e quindi di proposizione di innovative ipotesi di futuro, non si trovano più negli organici della nostra Regione, tanto da averla ridotta ad essere un semplice ufficio periferico di uno Stato sempre più centralista.

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