I l Niger è l’unica speranza dell’Occidente per mantenere la stabilità nella regione del Sahel. Così il quotidiano britannico The Guardian ha commentato il colpo di stato in Niger e riportato al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica occidentale l’Africa. Nelle parole del comunicato letto in diretta alla televisione nazionale nigerina nella notte tra il 26 e 27 luglio dal generale Abdourahamane Tchiani, leader dei militari della guardia presidenziale, che ha annunciato la destituzione e l’arresto del presidente in carica Mohamed Bazoum, si può comprendere tutto.

S i può capire quanto l’ennesimo golpe nell’area rappresenti una diretta minaccia non solo per la stabilità dei paesi subsahariani, ma anche per gli equilibri geopolitici dell’Unione europea. Il Consiglio di salvaguardia della patria, come è stato autodefinito dai golpisti, ha rivendicato la volontà di tutelare la sovranità del Paese, migliorare le condizioni socioeconomiche, lottare contro la corruzione e porre in sicurezza i confini nigerini.

Ma cosa significa tutto questo per l’Unione europea? Il colpo di stato contro il presidente Bazoum è l’ultimo, in ordine di tempo, di rovesciamenti avvenuti nell’area saheliana: Mali, Burkina Faso, Ciad (tutti paesi confinanti col Niger), hanno già sperimentato la violenza militare che negli ultimi anni contraddistingue la martoriata regione del Sahel (di cui fanno inoltre parte Senegal, Mauritania, Nigeria, Sudan, Etiopia e l’Eritrea). La polveriera del Sahel, come è spesso sbrigativamente definita, appare pronta a saltare in aria a causa di innumerevoli criticità, di cui i golpe sono solo la cima dell’iceberg: siccità, cambiamenti climatici, crescita demografica e sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali sono problemi quasi endemici; a essi, negli ultimi tempi, si è aggiunta la minacciosa presenza di gruppi terroristici che hanno fatto del Niger l’epicentro delle violenze condotte dai “ribelli” dello Stato islamico del grande Sahara.

Spesso definito uno dei Paesi più poveri e instabili del mondo, anche se sarebbe più giusto e rispettoso definirlo il Paese più impoverito date le sue enormi ricchezze naturali, il Niger ha rappresentato l’ultimo Paese dell’area alleato della Francia, nonché un partner privilegiato dell’Ue, data la centralità nelle dinamiche geopolitiche, di sicurezza e strategiche della regione saheliana, afflitta da diversi anni da plurimi tentativi insurrezionali a matrice islamista radicale. La scomparsa, almeno per il momento, di Bazoum, priva dunque le cancellerie europee di un alleato prezioso per il mantenimento della stabilità, non solo interna, e soprattutto di un partner strategico sia per contrastare i gruppi jihadisti sempre più minacciosi, sia per fermare le ondate migratorie verso l’Europa.

È chiaro, pertanto, come l’instabilità politica nigerina sia vista con preoccupazione da Bruxelles, privata di un partner affidabile nella gestione degli accordi promossi per bloccare i migranti provenienti dal continente nero, non a caso definito dal giornalista freelance Andrea De Georgio come «il buon allievo dell’Ue» per la sua capacità di sviluppare leggi e regolamenti atti all’esternalizzazione delle frontiere dell’Unione. Tuttavia, ciò che ancora continua a mancare in molte cancellerie europee è la consapevolezza di un necessario cambio di passo: occorre mutare definitivamente atteggiamento non solo perché l’ombra sempre più lunga proiettata dalla Cina manifesta la perdita del monopolio dell’Europa sugli affari africani, ma anche perché l’assordante silenzio sull’Africa, rotto periodicamente solo quando è minacciata la sicurezza degli europei, no n frenerà il corso degli eventi perché, come amaramente ricordato dal missionario comboniano Alex Zanotelli, «i disperati della storia nessuno li fermerà».

Università di Cagliari

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