Q uando, negli anni Ottanta, ho cominciato a scoprire nella storia il valore della statualità, non pensavo che se l’applicavo alla storia sarda avrei scoperto un mondo nuovo e sorprendente, che abbatteva e rivoluzionava tutto ciò che avevo imparato a scuola - ovverosia la storia politica, militare, letteraria, artistica, sociale della penisola italiana - e poneva la Sardegna, seppur povera di valori evenemenziali (in effetti, non abbiamo grandi avvenimenti da sbandierare), alla base della formazione dello Stato che comprende tutti noi, isolani e continentali, oggi chiamato Repubblica Italiana, ieri Regno d'Italia, all'inizio, nel 1324, Regno di Sardegna.

Da allora in poi non faccio che trovare documenti d’archivio, carte politiche, monumenti, leggi, governance, emblemi riguardanti la Sardegna insulare e peninsulare nell'arco di ben 537 anni (più della vita dell'America che conta solo 529 anni). Certo, non si tratta di Sardegna antropologica o fisica ma di Sardegna istituzionale. Ma non vedo perché, quando viene cambiato arbitrariamente il nome allo Stato nel 1861, da Regno di Sardegna in Regno d’Italia, tutto è diventato istituzionalmente italiano (compresi noi Sardi) mentre quando lo Stato si chiamava Regno di Sardegna i regnicoli sono chiamati, dai miei colleghi storici, Piemontesi e non Sardi.

Ribadisco che il valore di questa mia nuova proposizione della Storia non è astratto, indirizzato ad esaltare una materia di studio, ma politico e, come tale, attuale.

È inutile, anche se vero, piangere i torti che ci hanno fatto in passato i Romani o i Bizantini o gli Aragonesi o i Savoia; è invece utile e fondamentale inculcare nelle menti isolane e continentali che il contenitore statuale nel quale agiamo ed operiamo tutti noi, è sardo, indiscutibilmente sardo, e che perciò siamo la prima Regione d'Italia da rispettare per la sua storia, per la sua lingua, per le sue tradizioni, per i suoi modi di vita.

Succede tuttavia che qualcuno confonda lo Stato (sardo) di cui parlo nella “Dottrina della statualità” con la Nazione (sarda). Cosicché, prima di trattare di quest’ultima - cioè della Nazione sarda -, chiarisco cosa si deve intendere, in generale, per Nazione. Per Nazione si deve intendere una collettività umana i cui membri hanno un idem sentire, ovverosia la coscienza di una comunanza di fattori aggregativi anche pregiuridici o postgiuridici (= prima che la collettività si costituisca in Stato o dopo che lo Stato sia finito).

La Nazione, quindi, non è un concetto politico o storico-sociale come lo Stato, ma culturale, in quanto è formata da uno o più popoli abitanti dentro o fuori di un territorio statale, ubbidienti o non ubbidienti allo stesso vincolo giuridico, purtuttavia aventi in comune - in toto o in parte - storia, lingua, folklore, tradizioni, letteratura, arte, religione, ecc. Vi sono Stati con all’interno più nazioni, e nazioni che occupano Stati diversi. E mentre uno Stato nasce e muore in un attimo, una nazione si forma dopo anni, decenni, quando non addirittura secoli di vita comunitaria, meglio se all'interno di uno Stato; così come poi sopravvive alla fine dello stesso Stato che l’ha prodotta ancora per molto tempo, talvolta anche per millenni, com'è successo, ad esempio, alla nazione ebraica che si è dispersa per il mondo con la diaspora del 70 dopo Cristo ed è tutt'ora vigente.

Alla nostra storia, interessa sia la nazione italiana che la nazione sarda. Purtroppo, nel linguaggio comune, e anche in quello giuridico, l'espressione “nazione” è usata talvolta al posto di Stato o di popolo: così, ad esempio, si parla indifferentemente di "sovranità popolare" e di "sovranità nazionale", di "territorio nazionale", di "diritto internazionale", pur riconoscendosi che di questo sono destinatari prevalentemente gli Stati. Per esempio, in conclusione, si chiama Onu, Organizzazione delle Nazioni Unite, l’organismo nato a San Francisco nel 1945, oggi con sede a New York, sebbene lo Statuto ammetta a farne parte gli Stati che attualmente sono 208.

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